Le difficoltà che hanno dovuto affrontare Millennials e Generazione Z, in particolare la pandemia, hanno spinto a ripensare le priorità lavorative. Emerge un’attenzione inedita per il well-being, che è in larga parte la causa di fenomeni come la Great Resignation
Laura Cavallaro
Partner, P4I - Partners4Innovation
Beatrice Medved
Junior Consultant, P4I - Partners4Innovation
Di Great Resignation (grandi dimissioni) si è iniziato a parlare nel 2021 e nel 2022 è diventato un tema caldissimo per il mondo del lavoro. Si tratta di una moltiplicazione delle dimissioni volontarie, spesso rassegnate senza avere un piano B, un fenomeno che riguarda soprattutto persone d’età compresa fra i 26 e i 35 anni, Millennials e Generazione Z.
Secondo un’indagine svolta all’inizio del 2022 dall’Associazione Italiana Direzione Personale (AIDP) su 600 realtà italiane, è stato colpito il 60% delle aziende. Il 75% ha dichiarato di essere stata colta impreparata.
Ora il fenomeno pare essersi un po’ attutito e si parla invece di Great Reshuffle, ovvero, piuttosto che di un abbandono del lavoro della ricerca di ruoli professionali con un migliore equilibrio fra lavoro e vita privata e un ambiente più in linea con i propri valori. Secondo il Work Trend Index Microsoft, “Great Expectations: Making Work Work” è probabile che il 43% (37% in Italia) dei dipendenti prenda in considerazione la possibilità di cambiare lavoro nel prossimo anno, percentuale in leggero aumento rispetto al 2021 (41%).
YOLO (You Only Live Once): perché le nostre generazioni hanno esigenze diverse?
La filosofia YOLO (You Only Live Once) che caratterizza Millennials e GenZ, evidenzia un ribaltamento rispetto a un passato in cui ci si concentrava principalmente su job title e stipendio. Le nostre generazioni si focalizzano di più sul well-being, sulla sostenibilità, sull’equilibrio tra il tempo dedicato al lavoro e alla vita privata, su passioni ed esperienze personali.
Ma quali sono le motivazioni di questo cambio di prospettiva? Purtroppo, siamo i primi ad aver sofferto in maniera patologica, massiva e sistematica di disturbi di ansia e depressione a causa degli eventi socio-culturali che abbiamo vissuto durante la crescita. Lo ribadisce una ricerca del 2021 di BVA DOXA per Mindwork, servizio di consulenza psicologica per le aziende, da cui è emerso che dal 2020, con la pandemia, sono state riscontarte problematiche di benessere psicologico e mentale che hanno un impatto notevole sulla salute delle persone e sulla loro vita privata e professionale. Fra queste, l’aumento dei sintomi di burnout e l’impennata di sensazioni di ansia, disagio, insonnia.
Di conseguenza, Millennials e GenZ sono le prime generazioni a dare particolare importanza a questo tipo di disturbi e alla necessità di supporto. In questo contesto, il lavoro deve offrire qualcosa di più della mera sopravvivenza o di uno status sociale, deve permettere di avere uno stile di vita sano ed equilibrato e, allo stesso tempo, di fare esperienze.
Secondo l’Employer Brand Research di Randstad del 2021 le nuove esigenze che sono emerse sul mercato del lavoro a seguito di questo nuovo modo di pensare sono:
- Crescita professionale: non basta più salire di livello, ma si desidera anche un’esperienza di lavoro soddisfacente e stimolante, sia dal punto di vista delle sfide personali sia della crescita. I dati della ricerca condotta sui migliori candidati delle ultime edizioni di CEO for One Month, talent program di The Adecco Group, evidenziano che proprio la crescita professionale rientra fra i principali ostacoli incontrati dopo le prime esperienze nel mercato del lavoro: il 59% dei giovani ritiene i percorsi di crescita all’interno delle organizzazioni troppo lenti rispetto alle aspettative, mentre il 31% attribuisce le difficoltà al gap tra le competenze acquisite durante il percorso di studi e quelle richieste dalle prime aziende in cui si fanno esperienze lavorative.
- Salute mentale e well-being: pensare di evitare del tutto lo stress durante il lavoro sarebbe utopico, ma se è troppo diventa lesivo per la salute mentale. Un effetto che però hanno anche ambienti poco stimolanti. Per questo le nostre generazioni cercano un giusto equilibrio fra i due estremi.
- Tempo libero: una volta raggiunte condizioni lavorative che permettono una vita dignitosa, il vero lusso diventa avere tempo da dedicare alle proprie attività. Che possono essere sport, hobby, ma anche la cura dei figli. In quest’ottica, orari di lavoro infiniti, over-working e Smart Working illimitato sono considerati poco attrattivi e, soprattutto, poco sostenibili.
- Flessibilità: al punto precedente si collega anche la flessibilità di orari e spazi, che è è una caratteristica molto ricercata dalla nostra generazione. Un’ organizzazione semi-autonoma di task e progetti, oltre ad essere più gratificante di un continuo controllo, permette di avere un maggiore equilibrio tra vita privata e professionale.
Non si tratta di un capriccio, ma di una necessità. In un contesto come quello italiano in cui c’è ancora una disparità di genere significativa, tempo libero e flessibilità spesso sono l’unico modo di conciliare il lavoro con i ritmi di vita richiesti alle donne, su cui ricadono ancora in prevalenza la cura di casa e famiglia. - Stipendio: sebbene le nuove condizioni che abbiamo elencato siano diventate sempre più importanti, non si può prescindere da uno stipendio adeguato, un tema attualissimo, dato che molte organizzazioni non tengono conto dell’aumento dei costi della vita al di fuori dell’azienda e dell’inflazione (sempre più in crescita).
Hybrid work e leader attenti, la ricetta per l’azienda giusta
Di fronte a queste nuove esigenze, emergono due fattori fondamentali che portano le persone a scegliere un’azienda (o a scegliere di lasciarla): la possibilità di poter contare su politiche di lavoro ibrido e manager attenti.
Il primo è fondamentale in un’ottica di work-life balance, per garantire flessibilità e maggiore tempo libero (purché, naturalmente, sia garantito il diritto alla disconnessione).
Per quanto riguarda il secondo fattore, gli “Uncaring leaders” emergono come prima motivazione per lasciare il lavoro da uno studio pubblicato il mese scorso da McKinsey sulle ragioni che hanno portato giovani lavoratori a rassegnare volontariamente le dimissioni. Al secondo posto arrivano aspettative di performance irrealistiche, un punto strettamente connesso al precedente. Anche il Work Trend Index Microsoft fa emergere la mancanza di fiducia nell’alta dirigenza/leadership come motivazione per cui il 21% del campione ha lasciato il lavoro. Dai dati risulta anche che più della metà dei manager (54% a livello globale, 56% in Italia), ritiene che la leadership della propria azienda non sia in contatto con le aspettative dei dipendenti. I due fattori, però, non sono scollegati: la disconnessione fra leadership e dipendenti emerge nella volontà del 50% dei primi di ripristinare un lavoro in presenza a tempo pieno (47% in Italia).
Mentre non si può conoscere a priori il carattere del management, si può però dare la priorità ad aziende che offrano percorsi di mentoring e coaching, che garantiscano quindi rapporti umani, consigli e feedback da figure professionali con maggiore esperienza. Anche una buona comunicazione interna aziendale è un elemento da non sottovalutare per sentirsi più coinvolti e capire il valore di quello che si sta facendo.
Quando si parla di cambiare lavoro però, bisogna mettere in evidenza il fattore fondamentale, evidenziato anche dal fenomeno della “Great Resignation”: per la prima volta da molto tempo, il mercato del lavoro ci è favorevole. Avere un gap in curriculum non è più malvisto, abbiamo più informazioni sulle aziende – per esempio tramite passaparola e social media – che permettono di aggirare i normali canali di recruiting, ma, soprattutto, c’è scarsità di forza lavoro. È il momento perfetto per cambiare azienda, in particolare se si hanno capacità spendibili sul mercato dei talenti. E, se non le si possiede, vale la pena di prendersi del tempo da dedicare ad upskilling e reskilling, per fare davvero un salto di livello.