Contratti, Partita IVA e altri fondamenti di burocrazia per imparare a cavarsela quando si entra nel mondo del lavoro

Finalmente hai trovato un lavoro. Ma come fai a capire se il tipo di contratto che ti è stato proposto è buono? Se è un lavoro autonomo, come farti pagare? Questa guida spera di darti delle risposte

Pubblicato il 11 Ott 2022

Lorenza Luzzati

Collaboratrice editoriale

Immagine di Dean Drobot da Shutterstock

Ho 34 anni e varie esperienze di lavoro autonomo e dipendente in cui la costante è stata una grande confusione sulla burocrazia di contratti, Partita IVA, notule, diritti d’autore, CCNL, che ha iniziato a chiarirsi solo di recente, grazie all’esperienza, all’aiuto di mentori nelle Risorse Umane e a qualche fregatura.

La mia grande domanda è: perché non insegnano queste cose a scuola, invece di lasciarci allo sbaraglio? Nell’attesa di un aggiornamento dell’offerta formativa italiana, ecco le domande che mi ponevo quando ho iniziato a lavorare e le risposte che ho trovato in questi anni.

È possibile farsi pagare regolarmente per lavori come babysitter, ripetizioni…?

Assolutamente sì. Il Libretto di famiglia INPS è stato creato proprio per regolarizzare questo genere di lavoretti occasionali. Si tratta di un libretto prefinanziato intestato al datore di lavoro (che deve essere una persona fisica, quindi non un’azienda), composto da titoli di pagamento da 10€ l’uno. A ogni titolo deve corrispondere un’ora di lavoro.

Per usufruire del Libretto, sia il datore di lavoro sia il lavoratore devono accedere e registrarsi alla piattaforma tramite il servizio online dedicato dell’INPS.

Dei 10 euro di ogni titolo di pagamento, se ne ricevono 8 euro. 1,65 euro vengono accantonati per la contribuzione IVS alla Gestione Separata (un “accantonamento” per la pensione, per capirci), 0,25 euro per il premio assicurativo INAIL, e 0,10 euro per il finanziamento degli oneri gestionali. Il pagamento avviene il 15 del mese successivo alla prestazione.

Ci sono però dei limiti: non si possono guadagnare più di 2.500 euro l’anno per ogni datore di lavoro e più di 5.000 euro in generale. Un altro limite è la tipologia di persone che può essere retribuita tramite il Libretto, che include: titolari di pensione di vecchiaia o di invalidità, giovani con meno di venticinque anni di età (se regolarmente iscritti a un ciclo di studi), disoccupati, percettori di prestazioni integrative del salario, di reddito di inclusione (REI o SIA), ovvero di altre prestazioni di sostegno del reddito.

Non è possibile essere pagati tramite Libretto se si ha un rapporto di lavoro subordinato o di collaborazione coordinata e continuativa in corso con il datore di lavoro.

Il lavoratore ha diritto all’assicurazione per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti e all’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali.

Ma come convincere i datori di lavoro? Regolarizzare questo tipo di lavori può essere vantaggioso anche per loro, in quanto permette di usufruire di sgravi fiscali come il bonus babysitter.

Come posso capire se una proposta di stage è buona?

Gli stage si possono dividere in curriculare ed extracurriculare. Il curriculare è uno stage che si svolge all’interno di un corso di studi. Visto che è obbligatorio, spesso viene pagato poco o niente, ma è un buon modo sia per avere un accesso facilitato al mondo del lavoro in caso si fosse confermati, sia per poter essere il mitologico “giovane neolaureato con esperienza” tanto cercato dalle aziende.

Dal 2022, con la legge di bilancio, aver svolto uno stage curricolare permette di esercitare da subito la professione senza tirocinio ed Esame di Stato a chi si laurea nelle discipline di odontoiatria, farmacia, veterinaria e psicologia (con però in aggiunta una prova prima della discussione della tesi). In questi casi è quindi un bel vantaggio. Di questo tipo di stage abbiamo parlato diffusamente in questo articolo.

Invece, per parlare di tirocini extracurricolari è necessaria una premessa: la Legge di Bilancio 2022 ha introdotto un cambiamento importante limitandoli ai “soggetti con difficoltà di inclusione sociale” per evitare abusi e povertà lavorativa e di fatto incentivando l’utilizzo del contratto di apprendistato. Non sono però ancora chiarissimi i criteri per rientrare nella categoria.

La legge parla anche di una “congrua indennità di partecipazione”, che però al momento è stabilita autonomamente da Regioni e Province autonome.

Ma torniamo alla domanda originaria, il modo migliore per farsi un’idea della bontà di una proposta è ancora sondare quanto prendono altri stagisti del luogo.

Per quanto riguarda le possibilità di rimanere nell’azienda , è stato introdotto l’obbligo di assunzione di una quota minima di tirocinanti allo scadere dello stage.

Questo rapporto di lavoro sembra quindi essere diventato più conveniente, ma anche più difficile da attivare.

Se svolgo un lavoro autonomo devo davvero aprire la partita IVA?

Dipende da quanto guadagni e che tipo di lavoro fai.

Che cosa è la notula e come si usa

Se svolgi un lavoro autonomo con carattere occasionale per un totale di 5.000 euro lordi l’anno o meno puoi emettere una notula. Al di sopra di questa cifra è comunque sempre possibile utilizzare questo strumento, ma risulta meno conveniente. Si tratta di un documento non fiscale che funge da ricevuta di pagamento.

Nella notula, che si può creare con un programma di scrittura, ma anche su un foglio bianco, vanno riportati i propri dati e quelli del committente, in particolare:

  • ragione sociale (nome e cognome per i privati o nome dell’azienda),
  • codice fiscale,
  • indirizzo di residenza,
  • eventuale partita IVA del committente.

Va poi inserita la descrizione dell’attività svolta, il corrispettivo lordo e la ritenuta d’acconto del 20%, che viene versata all’erario direttamente dal committente. Quindi un vantaggio di questo sistema è che arriva già un pagamento netto su cui non vanno effettuate altre operazioni (come invece succede per la partita IVA).

Attenzione però: la ricevuta va emessa senza ritenuta d’acconto sia per privati senza partita IVA sia per un’azienda estera (che quindi non sono sostituti d’imposta, ovvero non sono tenuti a pagare le tasse per conto di chi emette la notula).

Per importi netti superiori a 77,46 euro va apposta una marca da bollo da 2 euro (che si può trovare dal tabaccaio).

Se durante l’anno si sono svolte solo prestazioni occasionali con notula (senza superare la cifra limite) e si sono avute delle spese, la ritenuta d’acconto può essere recuperata segnalando correttamente la situazione nella dichiarazione dei redditi.

È molto importante riportare nelle notule un numero progressivo annuale per identificarle in maniera univoca (es: 1, 2, 3/2022). Ogni anno questa numerazione deve ripartire da 1.

La notula è molto comoda nel momento in cui si inizia a lavorare, ma quando si inizia a guadagnare un po’ di più e si supera il limite di 5000€ (come ti auguro succeda presto), smette di essere vantaggiosa.

Che cosa è la cessione dei diritti d’autore e quando si usa

Se fai un lavoro creativo autonomo, però, puoi utilizzare uno strumento ancora più conveniente, la cessione dei diritti d’autore. Si tratta di un contratto con cui l’autore cede la titolarità e i diritti di sfruttamento di una sua opera ancora da realizzare in cambio di un compenso, senza essere soggetto a orari di lavoro prestabiliti né essere costretto a svolgere il lavoro in una determinata sede. Può essere, per esempio, un buon modo per farsi pagare articoli di giornale, illustrazioni, fumetti, fotografie (fatti pagare anche per questi lavori per favore). Il documento che si presenta è sostanzialmente identico alla notula, quello che cambia è il regime di tassazione. Infatti, per chi ha meno di 35 anni, la ritenuta d’acconto del 20% non è sul totale ma sul 60% del totale, che vuol dire pagare quasi la metà delle tasse! Per chi ha più di 35 anni la ritenuta si calcola sul 75% del compenso, che comunque non è male.

Un altro grande vantaggio, è che sulla cessione del diritto d’autore non si applica il limite di 5000€ lordi l’anno. Quindi se fai un lavoro creativo, anche in caso l’attività iniziasse a decollare, potrebbe non convenire aprire la partita IVA.

Come funziona la Partita IVA? È davvero una fregatura come si dice?

La partita IVA è un codice di 11 cifre che identifica in modo univoco presso l’agenzia delle Entrate una società o un lavoratore autonomo, che è il caso che interessa a noi.

L’apertura della partita IVA è necessaria per lo svolgimento di un’attività di lavoro autonomo con caratteristiche di abitualità, continuità e professionalità.

Aprirla comporta una serie di obblighi tra cui:

  • iscrizione alla cassa previdenziale relativa alla tipologia di attività svolta. Al variare della cassa cambia anche il calcolo dei contributi previdenziali da versare ai fini della pensione,
  • emissione di fattura o di registrazione dei corrispettivi quando si presta un servizio o si effettua una vendita,
  • invio della dichiarazione dei redditi annuale per il calcolo delle tasse da pagare.

Una scelta fondamentale da effettuare a seguito dell’apertura della partita IVA è quella relativa al regime fiscale da adottare. A seconda del regime, ci sono spese di mantenimento diverse. Le possibilità sono:

  • Regime ordinario: il regime fiscale “standard” che prevede il calcolo delle tasse sulla base di scaglioni di reddito e l’applicazione dell’IVA. Questo regime permette di “scaricare” dalle tasse le spese documentate legate alla propria attività. Si tratta dell’opzione più costosa, quindi richiede entrate consistenti per essere gestito senza difficoltà. Infatti, se si iscrive un’impresa alla Camera di Commercio occorre pagare circa 100 euro all’anno, a cui si aggiungono il costo di un commercialista e i contributi INSP (Irpef e Irap, che sono l’imposta progressiva sul reddito delle persone fisiche che si calcola in base al reddito e l’imposta regionale sule attività produttive pari al 3,90% di fatturato), che vengono calcolati in base a diversi parametri. Alcune categorie sono anche obbligate ad iscriversi all’INAIL, con ulteriori spese
  • Regime semplificato: è un regime contabile meno conveniente del forfettario, ma che prevede obblighi di contabilità ridotti rispetto all’ordinario. Lo possono scegliere attività che prevedono un massimo di ricavi annuali di 400000€ per le prestazioni di servizi, di 700000€ per tutte le altre attività. Prevede una serie di obblighi: l’applicazione di IVA sulle fatture, la fatturazione elettronica, il versamento della ritenuta d’acconto, il pagamento di Irap, Irpef, addizionali regionali e comunali. Le aliquote di tassazione di questo regime variano da un minimo del 23% a un massimo del 43%, in base alla fascia di reddito
  • Regime forfettario: è il regime fiscale che offre maggiori agevolazioni in termini di tassazione e adempimenti, soprattutto per le attività appena avviate. Ha sostituito il regime dei minimi, ora abolito, con una serie di variazioni. Per potervi accedere e mantenerlo, è necessario soddisfare determinati requisiti, per esempio la previsione di avere ricavi inferiori a 65000€ e di avere spese non superiori a 20000€ lordi (che possono includere il lavoro accessorio, il lavoro dipendente ed eventuali compensi erogati ai collaboratori). Ci sono però anche condizioni che comportano l’esclusione da questo regime, per esempio non risiedere in Italia (con molte eccezioni), avvalersi di regimi di IVA speciali e non solo. Scegliendo il regime forfettario si ottiene una tassazione agevolata (per esempio si paga il 5% di Irpef per i primi cinque anni di attività, che poi sale al 15%) e l’esenzione dall’IVA. Questo significa che il professionista che emette fattura non deve aggiungere l’IVA, mentre invece la paga sulle fatture ricevute

Ma quindi aprire la partita IVA è una fregatura o no? Non c’è una risposta semplice perché le variabili sono tantissime. Per esempio, il costo annuale della partita IVA non cambia solo in base al regime contabile, ma può anche essere diverso in base alla zona geografica in cui si opera.

Ovviamente, come emerge dallo schema, il regime forfettario è il più conveniente, a condizione di rientrare nei criteri. Tuttavia, per capire se sono possibili alternative e quale opzione sia migliore per la propria attività, potrebbe essere utile consultare un commercialista.

Che tipologie di contratto sono più frequenti e che caratteristiche hanno?

In Italia esistono diversi tipi di contratto di lavoro a seconda del settore, regolati dalle norme di legge del contratto collettivo nazionale del lavoro (CCNL). È importante sapere che le caratteristiche del singolo contratto (retribuzione minima, ferie, preavvisi…) si possono consultare online.

Se io, per esempio, ho un contratto a tempo determinato del secondo livello metalmeccanico, potrò andare a vedere quali sono le ferie annuali che mi spettano sul sito del Contratto Metalmeccanici.

I contratti si dividono in:

  • Parasubordinato, che ha caratteristiche intermedie tra il lavoro subordinato e quello autonomo dato che prevede una collaborazione continuativa nel tempo, coordinata con la struttura organizzativa del datore di lavoro, ma senza vincolo di subordinazione. In questa categoria rientra il Co. Co. Co. (contratto di collaborazione coordinata e continuativa)
  • Subordinato, in cui il dipendente mette a disposizione il proprio lavoro a un datore di lavoro, nel settore pubblico o privato, in cambio di una retribuzione

Fondamentale è anche la suddivisione dei contratti fra:

  • a tempo determinato,
  • a tempo indeterminato, che non può durare più di 12 mesi, prorogabili fino a 24.

Il contratto in somministrazione regola i rapporti di lavoro mediati dalle agenzie per il lavoro autorizzate dall’Anpal (Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro). Può essere indeterminato o determinato con possibilità di rinnovo fino a 36 mesi. Il lavoratore è assunto dall’agenzia, che viene rimborsata dall’azienda per cui di fatto lavora.

Il contratto a chiamata serve a coprire esigenze particolari del datore, quindi, per sua stessa natura è a tempo determinato. Prevede un massimo di 400 giorni di lavoro in 3 anni con l’eccezione dei settori del turismo, dello spettacolo e dei servizi pubblici.

L’apprendistato è un contratto rivolto unicamente a persone dai 15 ai 29 anni e prevede anche una formazione professionale. Ne abbiamo parlato diffusamente in questo articolo. È però interessante sottolineare che, per quello di primo livello, il Governo ha prorogato per il 2022 lo sgravio contributivo del 100% nei primi tre anni del contratto per le imprese con un massimo di 9 dipendenti (molto diffuse nel sistema industriale italiano), quindi di fatto ne ha incoraggiato l’utilizzo.

Del tirocinio o stage, abbiamo parlato sopra.

Per completezza aggiungiamo anche il contratto di lavoro part-time, che non è una tipologia differente, ma regola invece gli orari di svolgimento dell’attività lavorativa. Infatti, prevede dalle 16 alle 30 ore settimanali. Se è orizzontale, il dipendente lavora un numero di ore uguali tutti i giorni della settimana, in genere 4 o 5. Se è verticale il dipendente lavora full-time, ma in giorni specifici. Esiste anche il part-time misto.

Ci sono anche altre tipologie di contratto meno diffuse, su cui non ci dilungheremo.

Come faccio a sapere se la retribuzione che mi stanno proponendo è giusta rispetto alla mia mansione?

Secondo JP Salary Outlook 2021, un’analisi di Job Pricing del mercato retributivo italiano, condotta nel periodo 2014-2020 su un database di 500mila profili di lavoratori dipendenti di aziende private, lo stipendio medio nel nostro Paese varia sulla base di sei elementi:

  • settore professionale,
  • ruolo nel settore,
  • dimensioni dell’azienda,
  • genere (purtroppo…),
  • età,
  • livello di istruzione.

Per capire se lo stipendio proposto è in linea con quello che offre il mercato è molto utile fare benchmark retributivo, ovvero confrontare la retribuzione proposta con lo stipendio medio per quella posizione. Per farlo esistono diversi tool online.

Non tutti sanno, però, che il CCNL (contratto collettivo nazionale di lavoro) a seconda del proprio livello contrattuale prevede una retribuzione minima, che si può facilmente consultare online. Sui siti dei vari contratti sono anche specificate le mansioni corrispondenti a ciascun livello.

Se per esempio mi è stato offerto il sesto livello del contratto del commercio, posso cercare su internet il sito della ConfCommercio e lì la tabella delle retribuzioni, su cui troverò lo stipendio minimo lordo mensile. Sullo stesso sito andrò poi a cercare le mansioni corrispondenti al livello (per esempio pulizie/fotocopie, lavoro d’ufficio e così via), per confrontarle con quelle della proposta ricevuta. Purtroppo, alcune aziende, pur offrendo stipendi corretti per il livello del CCNL, in ottica di risparmio tendono a proporre un livello inferiore rispetto a quello della mansione che si andrebbe a svolgere, quindi è un aspetto a cui fare attenzione.

Al colloquio mi hanno detto quanto sarebbe la RAL (Retribuzione Annua Lorda), come capisco quanto prenderò di netto al mese?

La RAL è la somma degli stipendi lordi percepiti durante l’anno, quindi una RAL di 20k corrisponde a uno stipendio annuo lordo di 20mila euro.

Per ottenere lo stipendio netto mensile, bisogna per prima cosa capire il numero di mensilità previste dal contratto, che possono essere 12, ma anche 13 o 14 (con tredicesima e quattordicesima). Non basta però dividere la RAL per il numero di mesi, ma bisogna anche sottrarre contributi e tasse, che variano a seconda di una serie di fattori (per esempio la regione di residenza, i giorni di lavoro dipendente in un anno solare, eventuale coniuge, figli o familiari a carico).

Per fare questo calcolo conviene affidarsi ad uno degli strumenti gratuiti disponibili sul web, tenendo conto del fatto che non saranno accurati al centesimo.

Se hai altre domande scrivi alla redazione e valuteremo se aggiornare l’articolo!

Valuta la qualità di questo articolo

La tua opinione è importante per noi!

Lorenza Luzzati
Lorenza Luzzati
Collaboratrice editoriale

Alla laurea in Scienze Antropologiche ed Etnologiche ha unito una formazione artistica. Appassionata di fumetto, sostenibilità e gastronomia. Nel 2012 ha iniziato a lavorare nel mondo dell'editoria e nel 2017 è entrata a far parte del Network Digital360

Articoli correlati

Articolo 1 di 5