«Ho molta fiducia nella generazione di oggi, la GenZ. I ragazzi e le ragazze credono in quello che fanno e lottano per i valori che per loro sono davvero importanti, guardano al futuro con occhi attenti. Sono più propensi a costruirsi un equilibrio tra il lavoro e la vita privata, sanno che il successo prescinde da una posizione apicale in azienda e che si possono raggiungere i propri obiettivi senza dover necessariamente fare rinunce. E questo li differenzia da chi li ha preceduti, uomini e donne completamente votati all’impegno e alla carriera».
Ecco cosa pensa della GenZ Fabiana Andreani, la Professionista con più 10 anni di esperienza nella formazione e orientamento, che nel 2020 ha aperto i canali @fabianamanager su TikTok e Instagram su cui – in veste di HR Training Manager – dà consigli utili e risposte su carriera e lavoro agli under 35.
Con lei, che è a contatto diretto con i giovani che si trovano ad affrontare i grandi interrogativi sulla loro occupazione, abbiamo fatto una lunga chiacchierata per capire che cosa li caratterizza e di cosa hanno bisogno per crescere in questo particolare periodo storico in continuo divenire.
C’è qualcosa che accomuna i ragazzi e le ragazze che oggi cercano lavoro?
Nella GenZ c’è una disillusione di base che porta a dire “tanto non posso ambire a più di quello che i miei genitori hanno avuto” o “non posso migliorare più di tanto la mia posizione”. C’è una percezione differente rispetto a chi li ha preceduti sulla correlazione tra impegno e risultato.
Di contro, questo porta i ragazzi e le ragazze a essere molto più consapevoli delle loro priorità. Mentre per le generazioni precedenti la massima ambizione era avere il posto sicuro e il job title altisonante, per i ragazzi di oggi è importante vivere in un posto di lavoro in cui la loro presenza abbia un senso, essere parte del tutto e che l’azienda li ascolti. E laddove mancano le condizioni che rispondono alle loro esigenze sono molto più predisposti a lasciare il posto di lavoro.
Ecco perché è importante per le nuove generazioni che cercano un’occupazione creare le condizioni di onboarding che consentano di conoscere la cultura e i valori aziendali, di capire il ruolo che si ricopre e di inquadrare il lavoro all’interno di una matrice aziendale, per permettere di percepire che anche il contributo del singolo aiuta a raggiungere il risultato.
Se poi guardiamo specificatamente all’universo femminile, noto una più scarsa fiducia nel loro potenziale e, allo stesso tempo, un maggior senso del dovere nel farsi carico dell’onere familiare che porta a dire “devo badare ai miei genitori”, “cerco un lavoro che mi permetta di mettere su famiglia”, come se fossero dei pesi gravi – oltre che limitanti – imposti dalla cultura stessa e non solo un desiderio spontaneo.
E poi, e questo lo dico con molto rammarico, molte ragazze sono frenate dalla paura di andare incontro a discriminazioni, convinte che non avranno lo stesso trattamento e la stessa libertà di agire e decidere degli uomini, soprattutto rispetto al contesto imprenditoriale. Questo è un male perché porta a osare di meno, a chiedere meno e a prendere tutto per scontato.
Come si può colmare il gap tra le ragazze e i ragazzi e soprattutto come sensibilizzare e incoraggiare le ragazze?
È un argomento complesso perché è prima di tutto legato alla sfera sociale e culturale.
Partiamo dalla scuola…ha un ruolo fondamentale di formazione personale e non. L’orientamento, soprattutto durante i primi anni di formazione, dovrebbe incoraggiare le ragazze a valutare qualsiasi percorso di studi, piuttosto che precludere loro la possibilità di aprirsi al mondo delle discipline scientifiche, ad esempio. È sbagliato che le ragazze credano a prescindere che la matematica non sia adatta a loro: ci vuole un lavoro congiunto tra istituzioni scolastiche e non, associazioni e governo per scardinare la visione secondo cui la donna è “più adatta” alle materie umanistiche. In tal senso hanno un ruolo importante anche le iniziative come quella di mentorship lanciata dal Comune di Milano che mi ha vista coinvolta.
Perpetrare un approccio simile significa far sì che le scelte vengano indirizzate in modo quasi automatico, ed erroneo. Oltretutto si crea una sorta di sfiducia nei confronti delle possibilità che hanno le donne, soprattutto in coloro che vivono in contesti più piccoli e che hanno meno opportunità di carriera. Questo spiega perché tante ragazze vedono ancora oggi l’insegnamento come la professione “sicura” e adatta per mettere in conto una famiglia. Insomma, basta agli stereotipi di genere. Non esistono professioni – e penso, ad esempio, a quelle in ambito ingegneristico, fisico e informatico – che non sono adatte a una donna, né dal punto di vista delle capacità né dal punto di vista dei doveri e dei compiti legati alla sfera familiare. E a questo proposito aggiungo che è necessario che anche il concetto di genitorialità vada verso una distribuzione più equa delle responsabilità e delle mansioni tra le due parti.
Ci racconti di più dell’iniziativa?
Si chiama “Mentorship Milano”, ed è il primo progetto di empowerment femminile – nato all’interno delle azioni del “Patto per il lavoro di Milano” – che vuole creare una rete tra donne che hanno raggiunto posizioni apicali nel lavoro e giovani tra i 16 e 30 anni, residenti o domiciliate nella provincia di Milano. Obiettivo: far acquisire più consapevolezza sul talento e sulle aspettative e prospettive, orientando così le ragazze all’interno del mondo del lavoro. L’iniziativa è stata lanciata dall’assessorato al lavoro del Comune di Milano, e ha avuto come promoter l’Assessora Cappello.
In concreto, il Comune di Milano ha selezionato 350 donne – docenti universitari, consulenti, persone che lavorano nell’ambito delle professioni legali, ecc – che sono state scelte come figure di riferimento per accompagnare, individualmente, due o tre ragazze per 6 sei mesi, lungo il loro percorso di orientamento al lavoro.
Il bello di questa iniziativa è che prevede degli incontri informali, in cui ogni coach condivide la sua esperienza sul campo e il suo senso comune, in modo molto sincero e diretto: quello che si vuole fare è mettere a loro agio le ragazze, dare loro spunti di riflessione e la possibilità di confrontarsi con qualcuno che fa il lavoro che loro sognano e a cui aspirano. Le ragazze sono, infatti, selezionate anche sulla base delle loro inclinazioni, così da fornire un mentore che abbia una certa affinità con i loro piani futuri.
Tornando in generale ai giovani, quanto incide il background di studi e di esperienze sulla possibilità di fare un lavoro che loro sognano o che magari scoprono piacergli più tardi?
Per alcune professioni il background può avere un peso determinante…e penso all’ambito tecnico/tecnologico. Non è un caso, infatti, che oggi si cerchi sempre più di coinvolgere soprattutto le ragazze a intraprendere un percorso di studi STEM (ancora restano poco frequentati dal genere femminile).
Il background, dunque, può influire quando si parla di competenze tecniche, ma in realtà la differenza in gran parte la fanno le competenze trasversali, quindi le attitudini.
Invitare le persone a fare percorsi paralleli a quello dello studio, come far parte di associazioni, maturare esperienze all’estero, coltivare una passione, è molto utile perché aiuta ad allenare quelle skill – come la leadership, la negoziazione, l’organizzazione, la capacità di comunicare con gli altri -che sono necessarie soprattutto per le professioni in cui si ha tanto a che fare con le persone (comunicazione, risorse umane, commerciale).
Alcuni percorsi di studio possono aiutare, ma a fare la differenza è sempre e comunque la persona. E io ne sono la prova: ho un dottorato di ricerca in linguistica giapponese, ho lavorato nell’ambito dell’orientamento post-laurea e attualmente faccio la Content Creator. Ciò che unisce questi percorsi apparentemente tanto diversi c’è la me che, gradualmente, ha scoperto il talento nella comunicazione e nella realizzazione di contenuti.
Chiudiamo con un consiglio, cosa vuoi dire ai ragazzi che stanno cercando di costruirsi una carriera?