«La matematica è una disciplina estremamente creativa, è la massima espressione della fantasia». Ha risposto così Cristiana De Filippis, ricercatrice presso l’Università di Parma e oggi, a soli 30 anni, tra le migliori matematiche d’Europa, quando le abbiamo chiesto di parlarci del bello della matematica.
L’abbiamo intervistata per farci raccontare il suo percorso. La sua storia può, infatti, essere fonte d’ispirazione per tutte le ragazze e i ragazzi che sono affascinanti dal mondo della matematica (o che magari non lo sanno ancora).
Chi è Cristiana De Filippis
Insieme ad altri 29 colleghi internazionali, Cristiana è stata selezionata per entrare a far parte della Young Academy della Società Matematica Europea.
Dopo essersi laureata, nel 2020 ha conseguito un Phd a Oxford e, in quell’occasione; oggi, secondo la banca dati dell’American Mathematical Society è la persona più citata al mondo nel suo anno di dottorato.
Ha anche vinto il G-Research Prize in Gran Bretagna e il premio Iapichino dell’Accademia Nazionale dei Lincei. Oggi, oltre a dedicarsi all’attività di ricerca, insegna anche Analisi 1 nella Facoltà di Ingegneria di Parma.
Come hai scoperto la tua passione per la matematica?
«Mi sono accorta tra la fine delle scuole elementari e l’inizio delle medie che riuscivo a svolgere i problemi di matematica con una certa facilità, e ciò che mi incuriosiva e allo stesso tempo mi affascinava di questi esercizi era che per risolverli non bastava un’unica applicazione standard di una formula, ma bisognava davvero impegnarsi per arrivare alla soluzione. I compiti di matematica erano per me più un gioco».
Come hai deciso di farla diventare la tua professione?
«Inizialmente credevo di dover necessariamente applicare la matematica a qualche altra disciplina, come Ingegneria, Economia o Medicina. Non nego che mi ero un po’ rassegnata, fino a quando ho iniziato, però, a capire che in realtà era possibile trasformare questa mia passione (e forse anche predisposizione) in un lavoro a tutti gli effetti. Esisteva una Laurea in Matematica, ma io non lo sapevo ancora. Inutile dire che mi si è aperto un mondo e ho capito che quella sarebbe stata la mia strada».
Quali sono state le principali sfide che hai affrontato lungo il tuo percorso?
«Credo che la prima sfida sia stata quella di portare avanti il mio percorso di studi rimanendo nei tempi. Mi ha spinta non il dimostrare di essere “più brava” o “più capace” degli altri, ma la volontà di entrare in Accademia e conseguire il dottorato il prima possibile. Era una sorta di promessa che ho fatto a me stessa.
Inoltre, nel Sud Italia, luogo da cui provengo, spesso la carriera accademica viene considerata come sinonimo di precariato. Per questo la mia famiglia cercava di indirizzarmi verso altri percorsi. Ma io sono rimasta ben salda nelle mie convinzioni perché mi sentivo pronta. Sapevo che avrei affrontato questo percorso di studi in modo proficuo, senza sentirne il peso. Era la mia scelta, e non volevo precludermi la possibilità di provarci, pur tenendo in considerazione tutte le variabili del caso. Ricordo che ho pensato: “Se va male avrò dedicato del tempo a esplorare un mondo che mi piace”.
Ma mi rendo conto che in fin dei conti i miei genitori si sono comportati come penso si sarebbe comportato qualsiasi altro genitore; mi ripetevano sempre: “Fai in modo che i tuoi sforzi siano ripagati”. Un’analisi costi/benefici, mi verrebbe da dire oggi».
Ti sei mai dovuta confrontare con bias o stereotipi di genere?
«Ho vissuto gli anni di studio in modo molto sereno, è stato un percorso abbastanza lineare. Per fortuna non mi sono mai dovuta confrontare con preconcetti su Matematica e donne di cui purtroppo ancora oggi si continua a parlare. Sono stata a contatto con professionisti di primo livello, come ad esempio Susanna Terracini a Torino, una delle maggiori esperte mondiali di Meccanica Celeste, che hanno sempre apprezzato il contributo che ero in grado di offrire alla ricerca».
Quanto i riconoscimenti che hai ottenuto ti rendono orgogliosa?
«Ho sempre cercato di lavorare e impegnarmi al meglio delle mie possibilità, e i riconoscimenti sono arrivati. Mi rendo conto che nel nostro mestiere il riconoscimento è quasi immateriale. Ma se dovessi stilarne una classica in ordine di priorità direi che al primo posto c’è sicuramente l’essere riuscita a dimostrare un teorema, così da poter dire “ha funzionato!”; al secondo, senza dubbio, poter pubblicare il mio lavoro, seguono l’essere invitata a convegni e conferenze e poi, non meno importante, il riuscire a ottenere dei finanziamenti.
Su quest’ultimo aspetto devo dire che purtroppo il nostro Paese penalizza molto i talenti, perché gli investimenti sono quasi inesistenti rispetto ad altre realtà. E se ci penso è anche un po’ paradossale perché l’Italia è tra i Paesi che performano meglio dal punto di vista della qualità della ricerca e poi la matematica è davvero una disciplina “economica”: servono carta, penna e un computer. Ma è anche vero che, per fare in modo che il settore progredisca, i ricercatori hanno bisogno di formare un gruppo di lavoro e di poter coinvolgere i giovani nelle loro attività».
Cosa consiglieresti a chi vuole imparare ad apprezzare la bellezza delle formule matematiche?
«Direi, innanzitutto, di non aver paura di mettersi in discussione. Tutti i lavori portano con sé una componente di rischio. Non siamo più le generazioni che pensano che il primo lavoro durerà tutta la vita. Il lavoro “garantito” non esiste più.
Come dicevo, poi, la matematica è una disciplina veramente dinamica, e questo è un altro degli espetti che, a parer mio, la rende affascinante. L’Accademia, così come l’insegnamento, non sono gli unici due sbocchi lavorativi che abilita. I matematici per la loro flessibilità, il loro ordine e la loro disciplina mentale sono richiesti in ogni settore. Oggi c’è, infatti, una grande domanda di professori di matematica proprio perché i laureati trovano lavoro in assicurazioni, banche, aziende perché sono estremamente apprezzati per la capacità di lavorare con estremo rigore ma, allo stesso tempo, mantenendo quella flessibilità mentale che è fondamentale».
Hai deciso di tornare in Italia nonostante avessi offerte all’estero. Cosa ti ha spinto a fare questa scelta?
«In un posto come l’Italia in cui l’unica forma di attrattività è la qualità della ricerca, quando nel corso della carriera si incontrano professionisti brillanti che riescono ad avere idee nuove, portare fondi, risorse e altri professionisti, credo che automaticamente questi diventino dei punti di riferimento perché sono in grado di fare del bene alle persone e di apportare un aiuto concreto allo studio e al Paese.
Il valore della ricerca che si svolge in Italia è davvero molto alto, e questo è uno dei motivi che mi ha spinto a tornare ed entrare nel gruppo di lavoro di Parma.
A parte il mio Dipartimento, mi viene in mente, per citarne un altro posto in cui si fa ricerca ad altissimo livello, il GSSI – Gran Sasso Science Institute, una scuola di dottorato internazionale di recente istituzione con sede all’Aquila e un centro per la ricerca e l’istruzione superiore nelle aree di fisica, matematica, informatica e scienze sociali. È una realtà estremamente performante che attrae tanta eccellenza dall’estero».
Due parole sul tuo team?
«La struttura del mio team di ricerca non è per niente gerarchica. Se c’è un’idea che funziona, la sviluppiamo. E qui vi parlo di un’altra cosa bella della matematica: la libertà che offre di lavorare in gruppo, fare brainstorming e mettere insieme i vari pezzi. A me, poi, piace molto la possibilità di interagire con professionisti che vengono dall’estero, con cui avere scambi, interazioni e aggiornamenti continui».
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