Sappiamo che quella che viene definita Industria 4.0 è una rivoluzione tecnologica che porta grandissima automazione nell’industria, cui conseguirà secondo alcuni che ‘i robot ci ruberanno il lavoro’; secondo altri ‘che i robot ci aiuteranno e trasformeranno il lavoro’. Un problema che va affrontato, insomma, secondo alcuni anche con misure estreme come quella di introdurre una tassa sui robot. Così la pensa anche il leader della lega Matteo Salvini, che viste le imminenti elezioni 2018, ha manifestato il suo pensiero anche su questo punto, dicendo che “è utile tassare le imprese che impiegano robot per tutelare i lavoratori che rischiano di perdere il posto di lavoro”.
“Se ci sono secondo le stime 3 milioni di posti di lavoro a rischio, la vogliamo governare (la situazione), la vogliamo organizzare? Il robot deve essere un aiuto allo sforzo umano, non deve essere meramente la sostituzione dell‘essere umano – ha evidenziato Matteo Salvini intervistato da Radio24 – Investi, fai ricerca, mi va benissimo però il futuro va accompagnato”.– Investi, fai ricerca, mi va benissimo però il futuro va accompagnato”. Un’idea assurda secondo il ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, grande promotore dell’Industria 4.0, che ha affermato “dazi e tasse sui robot sono una ricetta suicida”.
Questa discrepanza di opinioni è anche il motivo per cui una prima proposta di legge , presentata dal deputato socialista Oreste Pastorelli, sia ferma in Parlamento da oltre un anno.
L’idea della tassa sui robot non è però nè di Salvini, nè di Pastorelli e non è certamente scevra da contraddizioni.
Il primo a lanciare l’idea di una tassazione ad hoc era stato Bill Gates, fondatore di Microsoft. “Oggi se un essere umano guadagna 50 mila dollari all’anno, lavorando in una fabbrica, deve pagare le imposte. Se un robot svolge gli stessi compiti, dovrebbe essere tassato allo stesso livello” aveva detto il manager.
Joseph Stiglitz, economista Premio Nobel ribatteva che non fosse utile tassare i robot per raccogliere fondi pubblici necessari a compensare la disoccupazione generata dall’automazione con sussidi per il lavoro. Per Stiglitz sarebbe un disincentivo ad investire in innovazione: “Si potrebbero tassare di più le grandi corporation, si possono raccogliere più risorse con i prelievi dai profitti extra dei grandi gruppi e, magari, anche dai Ceo più pagati”.
Il dibattito resta dunque aperto con alcuni numeri che suffragano, invece, l’idea che i robot possano essere anche una grande leva di sviluppo di business e dunque di occupazione. Secondo uno studio Accenture presentato all’ultimo World Economic Forum di Davos gli investimenti in intelligenza artificiale potrebbero far crescere del 38% i ricavi delle imprese e del 10% l’occupazione entro il 2020.
Lo studio parte da un assunto fondamentale: le aziende che non saranno in grado di rimodellare flussi di lavoro, modelli di business e dipendenti rischiano di scomparire. In questo contesto la forza lavoro, che va formata per potere essere parte attiva nella collaborazione tra uomo e macchina, elemento imprescindibile dell’imprea 4.0.
“Per riuscire a crescere nell’era dell’IA, le aziende devono investire di più in formazione, al fine di preparare i dipendenti a un nuovo modo di lavorare in cooperazione con le macchine – spiega Marco Morchio, Accenture Strategy Lead per Italia, Europa Centrale e Grecia. “Quella che noi definiamo Applied Intelligence, cioè la capacità di integrare rapidamente tecnologia intelligente e ingegno umano in tutte le funzioni aziendali, sarà sempre più un elemento imprescindibile per il successo e la crescita delle imprese”.