Perchè le soft skill sono così determinanti oggi per trovare lavoro? Ultimamente stiamo parlando spesso delle competenze trasversali e oggi vogliamo arricchire questa tematica con il contributo di Alessandro Giommi, studente di Ingegneria Informatica e dell’Automazione all’Università Politecnica delle Marche, uno dei finalisti del nostro contest Disruptor Challenge. Alessandro ha affrontato una riflessione che parte dall’analizzare i profondi cambiamenti del lavoro per giungere all’individuazione di una qualità chiave che tutti i candidati a un qualsiasi impiego dovranno in futuro possedere. La parola ad Alessandro…
L’evoluzione delle tecnologie ha nel tempo inciso sul mondo del lavoro facendo sempre più mutare le necessità delle aziende che oggi ricercano, nei candidati, delle soft skills che per anni hanno avuto un ruolo strettamente secondario. Questo progetto costituisce un’analisi dei cambiamenti degli ultimi anni che permetta di ipotizzare quali possano essere le nuove richieste delle aziende in un prossimo futuro, nell’ottica di una crescente digitalizzazione e informatizzazione.
Negli ultimi anni il mondo del lavoro ha subito uno stravolgimento importante a causa della mutazione di molte realtà finanziarie e di mercato. L’impatto delle nuove tecnologie e dei servizi veicolati attraverso di esse hanno implicato dei profondi cambiamenti nel rapporto tra l’uomo e il lavoro.
Si è dunque assistito a un ribaltamento delle dinamiche di domanda da parte delle aziende private che, a causa della crisi economica, hanno dovuto orientare i propri parametri di selezione del personale su qualità differenti rispetto a quelle dei tempi passati.
In primis, si è potuta notare una maggiore valutazione degli sgravi fiscali che accompagnano l’assunzione di determinate categorie di lavoratori ma, trascurando l’aspetto puramente economico, la scarsità di mezzi ha condotto le aziende a una ricerca più accurata del personale, così da aumentare la propria efficienza complessiva.
Le conseguenze di tali decisioni saranno al centro di questo articolo, il cui obiettivo è analizzare gli ultimi e profondi cambiamenti del lavoro così da giungere all’individuazione di una qualità chiave che tutti i candidati a un qualsiasi impiego dovranno in futuro possedere.
È infatti intenzione di questo testo fornire una visione del mondo del lavoro dell’avvenire che sia costruito sulla base delle differenze tra quello di oggi e quello del passato. Non mancherà inoltre un momento dedicato all’astrazione così da poter immaginare, seppur in modo offuscato, quello che potrà essere il domani.
LA CRISI E ALCUNE SUE CONSEGUENZE
Nel nostro periodo storico, fortemente battuto da una crisi globale, la concentrazione dei media e della stampa si è per molto tempo concentrata soltanto sugli effetti strettamente negativi dei problemi. Solo negli ultimi anni si è iniziato a far adeguatamente risaltare la nascita di nuove e concrete opportunità per tutti coloro che fossero disposti a impegnarsi e reinventarsi.
L’ondata di cambiamento portata dalla crisi ha infatti introdotto una serie di nuovi mestieri e settori. Nei decenni scorsi nessuno si sarebbe immaginato incubatori d’imprese e start up oppure professioni come il SEO Specialist e il Data Scientist, personalità sempre più rare e ricercate ai giorni d’oggi.
Paradossalmente però si sta assistendo anche a un ritorno alle professioni del passato, dove l’applicazione delle nuove tecnologie ha consentito di realizzare innovative imprese di prodotti biologici/a km0 con un inaspettato boom dell’agricoltura, spesso ingiustamente vista come distante dal mondo dell’informatizzazione e dalle tecnologie per l’automazione.
Inoltre, il drastico calo degli artigiani ha messo in moto nella popolazione un forte senso di appartenenza al territorio per la salvaguardia delle botteghe storiche le cui attività, talvolta anche particolarmente remunerative, non riescono più ad attrarre lavoratori e consentire quindi un adeguato ricambio generazionale (con il rischio che molte piccole imprese vadano perdute).
La trasformazione del mercato del lavoro che però ha coinvolto il maggior numero di persone è stata quella derivante dalla nascita di un forte squilibro tra domanda e offerta. Si è infatti assistito a un eccesso di disponibilità di lavoratori per determinati impieghi e un grosso ammanco per altri (rispetto alla richiesta).
La presenza di un’innumerevole quantità di candidati per certe occupazioni e la necessità di ottimizzare il tempo dei dipendenti storici, ha quindi portato le aziende a reinventarsi per concepire in modo diverso quelle che da sempre erano state le basi fondamentali del lavoro.
NUOVI TEMPI E LUOGHI DI LAVORO
Con l’espansione della rete internet molti ruoli occupazionali hanno acquisito una maggiore esigenza di dinamicità spaziale e temporale che si è tradotta da parte delle aziende nell’incentivazione di forme di smart working e di telelavoro.
Questo si è attuato concretamente permettendo ai lavoratori di svolgere il proprio compito (per alcuni giorni della settimana) in ambienti diversi da quelli classici, grazie a un livello di organizzazione interna delle pratiche e di equa ridistribuzione dei compiti che anni fa sarebbe stato inconcepibile.
Tali politiche manageriali sono nate infatti solo di recente, grazie ad alcuni studi che hanno evidenziato una serie d’importanti benefici che le aziende possono trarre configurando i propri luoghi di lavoro come degli ambienti in cui gli impiegati possano coltivare un’esperienza positiva, coinvolgente e realizzante.
Tali accortezze, unitamente a una maggiore flessibilità degli orari di lavoro, consentono oggi alle imprese di fidelizzare oltre ai clienti, anche i lavoratori stessi. In questo modo i dipendenti vanno a costituire degli antesignani per tutte le aziende virtuose che valorizzino meritocraticamente il lavoro svolto. A queste condizioni il miglioramento della produttività dei lavoratori è evidente, dato che non solo è stato provato che così aumenti la soddisfazione personale dei dipendenti, ma che si riduca pure l’assenteismo e lo stress. Infatti, è ormai una mera illusione il pensiero che un lavoratore sottopagato, monotono e scontento non possa in alcun modo influire negativamente sull’efficienza di un’azienda, indipendentemente da quali siano le sue dimensioni.
La necessità di luoghi e tempi di lavoro maggiormente dinamici ha supportato l’espansione di nuove concezioni delle realtà lavorative. Uno di questi è dato dall’organizzazione di spazi di co-working in sostituzione ai singoli uffici personali: essi enfatizzano e migliorano la collaborazione reciproca tra i dipendenti (così da ovviare ai problemi generati dalla mancanza di comunicazione tra superiori e sottoposti) e la sincronizzazione del lavoro. Non trascurabile è inoltre il forte abbattimento dei costi iniziali che imprese adottanti modelli di questo tipo godono rispetto alla realizzazione di singoli uffici, grazie alla condivisione di elementi strategici.
Questo in un qualche modo giustifica come alcune imprese più tradizionali risultino ancora essere riluttanti nel procedere con riorganizzazioni in tal senso, nonostante tali escamotage siano oggi accolti di buon grado da nuove aziende e liberi professionisti con risultati più che visibili.
LA RICERCA DI SOFT SKILLS E SOFT EXPERIENCES
Questa tendenza ad apportare modifiche fondamentali alla concezione stessa delle proprie realtà, insieme alla ricerca crescente di personalità native digitali, ha stravolto in una certa misura il mondo del lavoro. Difatti le qualità desiderate dalle aziende per i propri impiegati sono radicalmente mutate rispetto a un passato in cui le sole esperienze lavorative pregresse dei candidati costituivano un parametro esclusivo nella selezione del personale. La cosiddetta “storia lavorativa” dei concorrenti a un posto di lavoro ha di fatto da sempre rappresentato una qualità fondamentale da possedere ai fini dell’assunzione.
Oggi sempre più aziende iniziano a preferire l’assunzione di dipendenti che, seppur inesperti, possano essere fatti crescere all’interno delle proprie mura in competenze e abilità direttamente utili all’azienda. Tali personalità devono però rispecchiare dei precisi modelli affinché per l’impresa risulti conveniente un tale impegno nel tempo, dal momento che dinamiche di questo tipo comportano spesso dei costi inizialmente maggiori.
In particolare si è potuto notare come le cosiddette soft skill, riportate nei curriculum dei lavoratori degli ultimi anni come diciture prive di alcuna valenza reale, appaiano oggi come competenze e capacità molto ricercate dalle aziende. Tali abilità, definibili come “leggere”, sono state ritenute dai disoccupati dei puri riempitivi all’interno dei propri curriculum per fin troppo tempo. Oggi però la loro rilevanza nel mondo del lavoro è più alta che mai e risulta davvero difficile per i reclutatori distinguere chi possegga veramente le qualità desiderate rispetto a chi utilizzi impropriamente una dicitura che non gli appartiene.
Infatti, se la maggioranza delle persone ammette di essere in grado di fare qualcosa, questa non risulterà più distintiva per nessuno, sminuendo anche le qualità reali di tutti quei candidati realmente adatti a una certa posizione. La soluzione a tale problema è stata individuata ricercando personalità che possedessero tali abilità ma fossero anche in grado di dimostrarle tramite quelle che nei curriculum possono oggi essere definite come soft experiences.
Quest’ultime hanno assunto quindi un ruolo decisivo nella scelta tra due candidati che abbiano avuto delle esperienze di lavoro similari o, addirittura, dissimili. Un esempio di questo cambiamento è più che evidente nel campo del digitale dove una sempre maggiore attenzione viene rivolta alla partecipazione dei candidati a Hackaton, progetti e bandi come anche agli studenti che includano nel curriculum esperienze Erasmus o di studio/lavoro in Paesi esteri, cosa che si può tra l’altro evincere dalla ricerca “IL FUTURO È OGGI” del 2017.
Tali elementi non solo forniscono agli studenti maggiori opportunità di visibilità rispetto a quando, senza alcuna esperienza di lavoro, per chiunque sarebbe stato difficile approcciarsi a un qualsiasi impiego, ma consentono alle aziende di avere importanti conferme sulle reali capacità dei candidati che, a meno di periodi di prova, non sarebbero state in alcun modo rilevabili.
LE SOFT SKILL FONDAMENTALI E L’IMPORTANZA DEL PROBLEM SOLVING
Una volta discussa l’importanza di tale abilità, non rimane che chiedersi quali possano essere le più determinanti per esaudire le richieste delle aziende. L’avanzamento della digitalizzazione ha influito fortemente nelle scelte dei reclutatori che hanno dovuto far fronte alla ricerca di personalità adatte a impieghi che necessitassero abilità fondamentali che in precedenza non venivano riconosciute in modo adeguato.
Tra queste è possibile includere una serie di doti aspecifiche che spaziano dalla capacità di lavorare in team alle leading capabilities, dall’autonomia alla versatilità dell’individuo, dalla resistenza allo stress all’equilibrio. Un importante valore dell’individuo è inoltre dato dalla capacità di apprendere in modo continuativo adattandosi alle nuove esigenze della propria impresa, che oggi più che mai subiscono continue mutazioni.
Le conoscenze tecniche/statiche, che in precedenza consentivano di effettuare una scelta saggia nel confronto tra più individui, hanno lasciato ultimamente il passo a queste nuove doti in numerosi contesti. Ciò ha consentito l’apertura di un importante spiraglio per tutti coloro che, pur possedendo capacità tecniche notevoli, non erano ancora stati riconosciuti come elementi di valore da un mercato che non era pronto a ricercare tutte quelle particolari competenze aspecifiche che li contraddistinguevano.
Inoltre, alla base di ogni tipo di lavoro che non sia puramente manuale e ripetitivo, vi è la capacità degli impiegati di risolvere i problemi di tutti i giorni con inventiva. È sorprendente pensare come oggi sia bastata una semplice dicitura inglese come “problem solving skills” (capacità di risoluzione di problemi) per indicare l’insieme di abilità fondamentali di un individuo, indipendentemente dalle sue esperienze professionali.
Tale attitudine infatti è da sempre stata alla base del lavoro, inteso come attività e sforzo umano rivolto alla produzione di un bene o comunque a ottenere un prodotto di utilità individuale o generale.
Esso comporta per definizione la presenza di una perpetua contrapposizione tra il “fare reale” e il “fare in potenza”, tanto che dall’alba dei tempi il lavoro e il progresso si sono sempre configurati tramite le capacità degli individui nella risoluzione dei problemi, dai più semplici a quelli che hanno consentito svolte epocali.
Infatti, nonostante l’impegno naturale dell’uomo nella razionalizzazione dei fenomeni, il lavoro è da costantemente caratterizzato da una casualità di fondo cui solo l’ingegno può porre abilmente rimedio, al verificarsi di eventi imprevisti. È proprio tale competenza applicativa, reale e aspecifica che, unitamente a delle basi tecniche indispensabili, viene ricercata dalle aziende di oggi che non seguono più pattern tradizionali. Queste necessitano di personalità dinamiche che siano in grado di andare oltre alla formula standard di “problem solving” e realizzarne tangibilmente il significato nei propri contesti pratici di utilità.
Viene però da chiedersi se tali capacità, ormai richiestissime, possano essere acquisibili o innate. La risposta a un quesito del genere non può che essere complessa; infatti, mentre le competenze tecniche e contenutistiche permettono di svolgere un compito classico, il problem solving si configura come un’unione di basi culturali e capacità più difficili da apprendere come l’intuizione, la genialità e la capacità astrattiva.
Si potrebbe quindi definire il problem solving come l’abilità di riunire le proprie risorse per proporre delle soluzioni a un dato problema, trattandolo come se fosse più semplice con l’utilizzo di logica e fantasia. Pensandoci bene, sono proprio tali capacità ad essere state da sempre il motore stesso dell’innovazione.
IL PROBLEM SOLVING NEL DETTAGLIO
Sarebbe limitante descrivere tramite un semplice procedimento mentale quali possano essere le fasi reali seguite generalmente da candidati con capacità di problem solving, in quanto la fantasia riveste un elemento fondamentale che contraddistingue tali abilità rispetto alla classica conoscenza contenutistica.
Per chiarire però meglio di cosa si stia parlando, è possibile esporre in linea generale il processo di risoluzione dei problemi come, per prima, la capacità di definire e comprendere intrinsecamente un problema nel proprio contesto e saperlo mettere in relazione ad altri.
Tale abilità consiste inoltre nel saper analizzare le specifiche appena ottenute per identificare una serie di soluzioni che poi, attraverso dei collegamenti mentali, dovranno essere ristrette con delle prese di decisione che saranno più o meno razionali.
Di estrema importanza è dunque il “non farsi prendere dal panico” perché, seppur appaia banale, in realtà tutti i problemi hanno una soluzione ed è spesso soltanto questione di tempo prima che questi possano essere risolti con i risultati sperati. Accettare di correre dei rischi senza temere l’opinione degli altri è quindi indispensabile per mettere in atto una strategia vincente di problem solving.
Resta dunque da esaminare quale possa essere il percorso più adatto all’acquisizione di abilità del tipo appena descritto.
LE OFFERTE DI LAVORO E L’OFFERTA DI STUDIO
L’Italia si è spesso divisa tra i promotori dello studio scolastico orientato all’impiego e uno differente che si basasse invece sul raggiungimento di una tanto discussa apertura mentale/cultura generale. Si è dunque tentato di porre in atto una divisione drastica al livello delle scuole superiori differenziando gli studi classici/scientifici dai programmi degli istituti tecnici/professionali.
In questo modo infatti si è pensato che ogni studente potesse, al conseguimento del diploma, scegliere liberamente una prima o una seconda specializzazione ricorrendo agli studi universitari. Tale modello, nonostante le critiche da entrambi i fronti, negli ultimi anni sembrerebbe essere meno efficiente del passato.
Infatti, le imprese lamentano sempre più la mancanza di uno stretto collegamento tra la scuola e il mondo del lavoro, richiedendo quindi operai altamente specializzati ma anche personalità del tipo descritto finora, ovvero con un curriculum di studi maggiormente poliedrico.
Al giorno d’oggi è rimasta proprio l’università ad impegnarsi per offrire agli studenti maggiori probabilità d’impiego che, a seconda delle categorie, richiederanno studi più o meno approfonditi. Nel mio percorso universitario, in particolare negli studi del corso in Ing. Informatica e dell’Automazione proposto dall’Università Politecnica delle Marche, ho avuto modo di comprendere profondamente l’utilità di tutte quelle materie che fanno sì parte di un curriculum ingegneristico generico, ma che non risultano direttamente collegate alla professione stessa.
Nel tempo ho avuto infatti modo di sperimentare l’importanza delle soft skills tramite la loro applicazione in vari contesti, anche fortemente differenti da quelli dell’informatica o dell’automazione, riscuotendo un inaspettato successo in quasi tutte le mie prime attività lavorative e soft experiences. È bene però soffermarsi brevemente sull’aggettivo utilizzato, cioè “inaspettato”. Il risultato ottenuto ha infatti assunto tale valenza perché oggi la crisi ha portato con sé una negatività generalizzata che, permeando ogni ambiente, scoraggia gli studenti ancor prima che possano provare ad applicarsi realmente nel mondo del lavoro. Ho infatti avuto modo di confrontarmi molto spesso con una moltitudine di colleghi che, nonostante avessero intrapreso università con probabilità di assunzione all’uscita prossime al 100%, si sono ritrovati chiusi rispetto a ogni proposta, solo per paura di un rifiuto o della “concorrenza”.
Nello specifico però dell’acquisizione di abilità di problem solving, credo che nel mio caso essa sia costruita grazie alla curiosità e alla crescente consapevolezza della possibilità di collegare tra loro più conoscenze per ottenere dei nuovi risultati.
Come in una ricetta l’utilizzo di fantasia rispetto al testo originale talvolta consenta l’ottenimento di nuove scoperte culinarie (mentre altre volte comporti dei completi disastri), penso che il problem solving si caratterizzi oggi come un’abilità intangibile e irriconoscibile fino a quando, davanti ad un problema, ci si renda conto che la sua soluzione richieda soltanto dell’inventiva.
Penso personalmente che un’abilità del genere mi abbia non solo incentivato a ricercare occupazioni maggiormente soddisfacenti ma che abbia anche consentito l’apertura di numerose porte per il mio futuro, coerentemente con la visione espressa in questo progetto. Infatti, è proprio l’unicità di abilità di questo tipo, a mio parere specialmente apprendibili in determinate facoltà ingegneristiche, a favorire incredibilmente già da oggi un candidato che le possegga.
UNA VISIONE SUL FUTURO DEL LAVORO
Il futuro del lavoro, nonostante si possano effettuare i tentativi più disparati d’immaginare qualcosa che non sia ancora presente, affonda le proprie radici nelle importanti variazioni avvenute rispetto agli anni precedenti. Considerando quindi il trend attuale e la svolta di determinate decisioni manageriali moderne, si può supporre che il cambiamento riguarderà sicuramente una riqualificazione digitale di una percentuale sempre maggiore di lavoratori.
Lo sviluppo d’intelligenze artificiali all’avanguardia e la centralizzazione dei processi che negli anni scorsi erano visti come delle utopie, un domani rappresenteranno dei sostituti alle attività umane che dovranno concentrarsi in altri contesti. L’IA oggi è ancora fortemente limitata nella capacità di sviluppare autonomamente una conoscenza generale del mondo e di dedurre dei significati da contesti inusuali, fattore in cui gli esseri umani prevalgono fortemente. In un futuro molto prossimo si assisterà invece al superamento di tali problematiche e non resterà che chiedersi se anche gli ultimi tratti distintivi dell’intelligenza umana, rappresentati da immaginazione e creatività (alla base del problem solving stesso), diventeranno o meno una caratteristica dei futuri automi.
La strada intrapresa in tal senso è già evidente oggi, dove i chatbot rappresentano i precursori di un cambiamento che pervaderà direttamente il mondo del lavoro coinvolgendo tanto le attività strettamente digitali, quanto quelle manuali. Il ruolo delle prestazioni d’opera umane assumerà sempre più una valenza di controllo in tutti quei contesti dove la presenza della tecnologia possa determinare, anche lontanamente, un rischio per la collettività.
Sarà proprio la capacità di adattamento a determinare quali saranno i lavoratori del futuro. Questi dovranno tutti acquisire una maggiore conoscenza sulle tecnologie avanzate degli ultimi anni così da poter assumere tutti quei ruoli che non potranno ancora essere svolti dalle macchine. Il trend di richiesta di personale con competenze digitali e di rete avrà la sua massima crescita nei prossimi anni, come anche quella di esperti di sicurezza, ruolo che diventerà assolutamente fondamentale una volta che ogni aspetto manuale di qualsiasi impiego verrà coperto dai robot.
Per questo motivo, sarà estremamente necessario definire e tutelare il ruolo e la rilevanza dell’uomo in un mondo che sarà sempre più determinato da una tecnologia capace di sviluppare competenze precedentemente riservate agli esseri umani.
Poiché tali processi innovativi sono già oggi volti alla replicazione dei meccanismi della nostra mente, con grande probabilità il lavoro del futuro sarà fortemente influenzato dalla scelta di concedere alle macchine una maggiore o una minore indipendenza, altresì definibile come presa di coscienza.
CONCLUSIONI FINALI
Oggi la capacità di problem solving si presenta come una delle competenze più richieste nel mercato del lavoro e, secondo il rapporto di Unioncamere, il 49,6% delle aziende ritiene oggi che nella fase di selezione dei candidati la capacità comunicativa e a quella di lavorare in gruppo sia fondamentale.
Se già in questo momento tali capacità assumono una rilevanza così alta, in un futuro molto prossimo l’istruzione stessa dovrà adattarsi per fornire non solo competenze digitali ma anche basi importanti per lo sviluppo di capacità personali come quelle descritte finora.
Ritengo dunque che le soft skills esaminate nel corso del progetto costituiranno in futuro un fattore fortemente determinante per l’inserimento di personale all’interno in tutte quelle grandi aziende che, dovendo far fronte a problematiche interdisciplinari, necessiteranno di assumere figure le cui competenze e abilità superino la semplice conoscenza tecnica.
In questo nuovo mondo del lavoro, dominato dal digitale e dalle nuove competenze, l’adattabilità sarà quindi la qualità caratterizzante del successo dei nuovi studenti e professionisti del futuro.
Contributor: Alessandro Giommi
Fonti:
opportunita_0_76.html periodizzazione/ https://www.bitmat.it/blog/news/evoluzione-del-mondo-del-lavoro-nellera-della-trasformazione-digitale/ digitale
https://www.risorseumane-hr.it/problem-solving/
https://www.businessinsider.com/international?r=US&IR=T https://www.ipermind.com/problem-solving/