Personal branding, o personal brand, è un tema oggi molto importante e a cui tutti dovrebbero prestare attenzione, soprattutto nell’ottica della ricerca del lavoro. Cosa si intende esattamente con questa definizione? In cosa consiste, a chi serve, e come possiamo migliorarlo? Vedremo in questo articolo come possiamo definire il personal brand e perché bisogna cominciare subito a considerare questo aspetto della nostra identità digitale come una leva per indirizzare il nostro percorso lavorativo nella giusta direzione. Vedremo anche quali sono gli errori da evitare nel ‘costruire’ il proprio personal brand.
Partiamo subito con dire che abbiamo usato la parola sbagliata dicendo ‘costruire il personal brand’. In realtà, non si tratta nè di qualcosa da costruire, ma da estrarre: secondo questo articolo di Entrepreneur, la parola costruire da un’idea di artefatto che non ha nulla a che vedere con un efficace personal brand, che parte invece dalla verità di “quello siamo”. Serve autenticità, ma anche sapienza nell’individuare le nostre peculiarità. Ma andiamo con ordine.
Cos’è il personal branding
Tutti sappiamo cos’è un brand e secondo Wikipedia il personal branding è appunto il processo attraverso il quale sviluppiamo un’immagine di noi stessi, da veicolare agli altri, che ci rappresenti. Detta così sembrerebbe quasi una falsificazione e molte persone la intepretano in questo modo, ma a nostro parere è un’interpretazione non solo scorretta, ma controproducente, e andando avanti capiremo insieme perché.
Il personal branding è molto legato al mondo digitale: se ci pensiamo bene da sempre (da prima di internet) le persone (soprattutto in ambito lavorativo) hanno trovato modalità per presentarsi bene, farsi un nome, darsi un certo tono, trasferire agli altri una certa rappresentazione di se stessi. Con l’arrivo di internet e in particolare dei social network tutto questo si è trasferito online, amplificando la nostra audience, velocizzando la comunicazione e permettendo a tutti con relativa facilità di stabilire una web reputation. Figli di questa trasformazione sono gli influencer e oggi sempre di più i micro-influencer. Ogni singola azione che realizziamo online (blog, siti, forum, commenti vari), in particolare sui social network (un post, un like, un commento, uno share, un video, una foto) contribuisce a formare il nostro IO digitale, il nostro personal brand. Fare personal branding significa porre attenzione e dare un indirizzo a tutte le nostre attività online verso un preciso obiettivo, che può essere soft (es: desidero semplicemente una web reputation equilibrata, pulita, dei profili semplici ma accurati); oppure hard (es: voglio utilizzare Linkedin per posizionarmi come il miglior data analyst d’Italia). In entrambi i casi, il personal brand va gestito.
Le tre A del personal brand
A= autenticità
Le bugie hanno le gambe corte, quante volte l’hai sentita? Anche nel personal branding millantare è controproducente, oltre che disonesto. Da un lato ogni cosa che dichiariamo può essere verificata e far emergere la verità; dall’altro creiamo delle aspettative che facilmente possono essere deluse nel momento in cui saremo messi a fare concretamente ciò in cui abbiamo fatto intendere di essere il ‘top’.
A= autorevolezza
L’autorevolezza è un valore estremamente importante della web reputation, ha diversi gradi naturalmente, ma non è solo appannaggio di coloro che sono oramai riconosciuti come l’esperto, l’autorità, il guru, in un certo contesto. Tutti dobbiamo e possiamo coltivare la nostra autorevolezza nelle nostre cerchie di micro-influenza. Uno dei segreti è l’autenticità, un altro è rispettare il buon senso e la buona educazione nelle nostre attività online (il che non significa evitare di prendere posizione), un altra cosa molto importante è contribuire al circuito della comunicazione web con contenuti rilevanti, cioè attendibili, provenienti da autorevoli fonti, magari quelle più di nicchia ma molto specializzate. E poi naturalmente conta molto costruire relazioni con persone altrettanto (o più) autorevoli di voi. Online l’autorevolezza tende a propagarsi.
A= assertività
L’assertività, cioè la capacità di saper esprimere le nostre idee o emozioni in modo chiaro e convinto, senza offendere o aggredire l’interlocutore, è importante nella vita e così anche sui nostri profili social. Online bisogna pensare bene a quello che facciamo, ma occorre anche sporcarsi un po’ le mani: mettere solo like, essere d’accordo con tutti, non prendere mai posizione è un modo di gestire il proprio personal brand che lascia il tempo che trova. Bisogna essere se stessi e proporre commenti e riflessioni, anche se non piaceranno sempre a tutti, se si rispettano netiquette, buon senso, educazione, anche chi non è d’accordo apprezzerà (se è intelligente, altrimenti è meglio non averlo tra gli amici!). In questo modo faremo crescere la cerchia di persone che ci stima, saremo più coinvolgenti e anche gli algoritmi dei social se ne accorgeranno…
Personal branding, a chi serve?
Diventare influencer della rete o professionisti della comunicazione sono ambiti in cui il personal branding è fondamentale, ma non gli unici in cui sia importante. Chiunque si affaccia al mondo del lavoro dovrebbe pensare seriamente al suo personal brand. E’ una prassi comune a tutti andare a ‘googlare’ una persona nuova, o cercarla nei social network. Stanne certo, lo farà anche qualunque azienda a cui ti sei presentato e che sta pensando di offriti un lavoro o uno stage: il primo social che andrà a vedere è probabilmente Linkedin. E’ una pratica giusta? E’ sbagliata? E’ quello che si fa, è il digitale.
E se pensiamo che rifuggire tout court i social sia una soluzione, ci sbagliamo: come scrive DigitalHR, “Non si può non comunicare” (cit. Paul Watzlawick noto psicologo e filosofo della comunicazione), perché la scelta di non comunicare è essa stessa comunicazione. Non usi i social e il Web? Quello che percepisce il pubblico – per esempio un potenziale datore di lavoro – è un silenzio assordante, che può significare snobismo o incapacità.
Perché pensarci subito?
Un personal brand forte non scaturisce dall’oggi al domani, ci vuole tempo.
Quindi, prima si comincia a pensare al proprio personal brand meglio è. Il personal branding che abbiamo battezzato soft è qualcosa che richiede un minimo di costanza e di sforzo, ma può dare i suoi frutti il giorno in cui avremo deciso che forse per andare dove vogliamo andare (cit. Totò) avere un personal brand che trasmette competenza e autorevolezza in un determinato campo sarebbe proprio utile.
Il personal branding hard prende di mira obiettivi precisi che, se sono ‘difficili’ da raggiungere, possono essere scomposti in obiettivi più piccoli e magari un passo alla volta si raggiungono davvero.
Personal branding, gli errori da non fare
Abbiamo già visto alcuni degli errori da non fare nei passaggi precedenti, ricapitolando:
1- millantare: cioè non bisogna dire bugie o esagerazioni nei nostri profili social, ma essere sempre autentici
2- non alimentare la comunicazione: esiste ancora qualcuno che non è sui social, almeno in uno? difficile da credere, ma a meno che non voglia fare l’asceta di professione, dovrebbe ricredersi, perchè fregarsene dei social non è positivo oggi, sopratutto agli occhi di un potenziale datore di lavoro, fa pensare a incapacità. Se poi abbiamo aperto dei profili social e li abbiamo abbandonati in balia di se stessi, correre subito ai ripari e gestire la cosa.
Questi errori da non fare, suggeriti dall’esperto Gianluigi Bonanomi in questo articolo ( e abbiamo adattato alla realtà dello studente o neolaureato), fanno il paio con altri due:
3 – non differenziarti
Se vuoi fare un personal branding hard, per renderti visibile e cominciare a conquistare autorevolezza e ‘follower’ devi focalizzare i tuoi sforzi su pochi argomenti di tuo interesse, magari i settori in cui aspiri a lavorare e avviare la tua carriera.
Dice Bonanomi: “Un corretto posizionamento, secondo il brand positioning, parte anche da una specializzazione: nella società del terziario avanzato si cercano gli specialisti, non i generalisti. Non ci sono più gli “allevatori di bestiame” ma, tra i tanti, gli “addetti alla fecondazione artificiale della specie suina”. Se fai troppo, non fai nulla davvero bene. E se fai cose troppo diverse, non sei credibile. Su LinkedIn ho incrociato un tizio che fa l’architetto, il designer, il grafico, il fotografo, il producer musicale e il consulente pensionistico. Uno, nessuno e centomila”.
4 – non monitorare la propria web reputation
Nulla è per sempre, tranne il web. Tutto quello che finisce in rete difficilmente può essere eliminato completamente. Questo significa che non dovresti mai fare o dire online cose di cui potresti pentirti e questo come regola di vita. Se non ci hai mai pensato, fallo subito, verifica la tua reputazione online semplicemente googlando il tuo nome, puoi crearti addirittura degli alert; puoi cercarti sui social, ecc. Esistono poi anche delle piattaforme ad hoc, anche con versioni gratuite, qui qualche indirizzo.
Qualche tempo fa, Laura Bononcini di Facebook, ci aveva detto:
“La reputazione online è una “preoccupazione” che comincia a interessare i giovani nel momento in cui si affacciano al mondo del lavoro: è risaputo che molte aziende oltre a guardare CV , verificano la reputazione online dei candidati. Ciò significa che vedranno e si faranno un’idea su di te anche attraverso immagini, post, commenti, interventi, che hai pubblicato sui social network, nei forum, attraverso piattaforme di blogging. Possono rintracciare potenzialmente tutte le tracce che hai lasciato in rete. E’ ovvio che per un giovane ai primi colloqui di lavoro, le indagini online saranno abbastanza blande, ma quando si fa carriera e si cominciano a ricoprire cariche di un certo livello, la nostra vita virtuale verrà scandagliata in maniera sempre più approfondita. Quindi, non è mai troppo presto per cominciare a proteggere la propria reputazione online!” Guarda cosa dice in questo video.