Come illustrato nel precedente articolo “Come cavalcare l’onda digitale”, i tempi stanno cambiando ed oltre alle competenze da sviluppare per stare al passo coi tempi, sta cambiando anche il modo di fare imprenditorialità. Quando si parla di imprenditori, solitamente, si pensa a persone di età tra i 50 e i 60 anni, ormai diventati genitori e magari nonni, proprietari di un’impresa più o meno grande.
In realtà, questo è vero solo in parte. Ormai gli imprenditori sono anche, e soprattutto, altri: sono giovani, a volte ancora minorenni, che hanno come denominatore comune il fatto di avere un’idea che, ai loro occhi, può essere vincente. Si sentono quotidianamente storie di ragazzi che grazie ad una valida idea, ed un po’ di fortuna, riescono ad ottenere grossi finanziamenti per poter dar vita alla loro idea imprenditoriale.
Viene spontaneo pensare che le cose stiano radicalmente cambiando e che forse sia il caso di adattare a questo anche la propria mentalità. Imprenditori prima lo si diventava “spontaneamente” col tempo e con l’esperienza, ora invece si può raggiungere tale obiettivo imparando! Come? Apprendendo l’imprenditoria tra i banchi di scuola, considerandola come una vera e propria materia scolastica, per passare dalla cultura del sapere alla cultura del saper fare.
L’idea di Miriam Cresta, direttore generale di Junior Achievement Italia, è quella di insegnare l’imprenditoria a scuola ai bambini a partire dai 6 anni. La sua idea è che, per introdurre questa “rivoluzione scolastica”, sia necessario che l’imprenditorialità non sia considerata una materia extracurricolare, ma una vera e propria disciplina scolastica come l’inglese e la matematica. In diversi Paesi europei queste novità sono state introdotte già da anni: ad esempio, in Norvegia ed in Svizzera da oltre dieci anni l’imprenditoria è considerata una materia scolastica a tutti gli effetti. Ciò ha portato anche a riscontri positivi sullo sviluppo economico e sociale del Paese, oltre alla nascita di un maggior numero di start up (circa il 20% in più) rispetto al panorama italiano e di altri Paesi d’Europa.
Ma dunque studiare Dante e Foscolo non serve più? Non esattamente. Ciò che si è insegnato tra i banchi finora resta comunque un patrimonio da insegnare e trasmettere ai giovani d’oggi, ma ad esso andrebbe affiancato l’insegnamento del saper fare e del fare impresa, per preparare i giovani al futuro che li aspetta e per aspirare ad un futuro più prospero per l’economia del Paese.