Chi vuole lanciarsi nell’avvio di un’impresa innovativa ha tra i primi scogli il “fundraising”, cioè trovare soldi per fare startup, capitali che servono per partire e, se le cose vanno, per crescere. I canali di finanziamento delle startup non sono le banche, ma solitamente i business angel e i venture capitalist. L’ultima tendenza è l’emergere di personaggi del mondo dello spettacolo che diventano investitori. Bono Vox e The Edge (U2) hanno appena investito in una startup irlandese che fa biotech.
Nuritas è una startup biotech irlandese che utilizza l’intelligenza artificiale per la ricerca di trattamenti genetici e biochimici contro il diabete, ha appena ricevuto un investimento di circa 2 milioni di euro da una lista di investitori in cui figurano anche i due leader degli U2 Bono e The Edge.
Le due rockstar non sono nuove a questo tipo di operazioni, hanno già investito in società come Facebook e Dropbox, per esempio. Bono, in particolare, è a tutti gli effetti un venture capitalist avendo co-fondato il fondo di private equity Elevation Partners, nel quale ha un ruolo attivo nella gestione in qualità di managing director.
Bono e The Edge non sono le uniche celebrity a interessarsi di startup, in US la lista comincia a essere lunga: l’artista hip-hop NAS è tra i più attivi, in compagnia di Robert Downey Jr., Ashton Kutcher, Jessica Alba, Lady Gaga, MC Hammer, Justin Timberlake, Leonardo di Caprio, Madonna, Magic Johnson, Jared Leto, Kobe Bryant.
Ci sono poi casi come Troy Carter, il talent scout di Lady Gaga e altre star, che si è trasformato con decisione in un venture capitalist, con un proprio fondo che si chiama Cross Culture Ventures che si interessa a investimenti in tech company con impatto culturale.
O casi come quello di Gwyneth Paltrow, che dopo qualche piccolo investimento si è trasformata in una startupper seriale e di successo, abbandonando almeno per il momento il mondo del cinema.
Insomma, il mondo delle startup affascina un po’ tutti, e per chi ha capitali da investire si tratta di un sistema molto gratificante per impiegare i propri capitali, perchè permette anche di sostenere vere imprese, spesso a impatto sociale, guadagnadoci anche in termini di immagine.
E in Italia? C’è qualche rockstar nostrana che si interessa alle startup?
Per adesso c’è ne sono alcune che si interessano alle startup in quanto fruitori delle stesse: a cominciare da Fedez che è stato il primo cantante ad abbandonare la Siae per SoundReef (la startup che ha creato una piattaforma alternativa per la gestione dei diritti d’autore), seguito da Gigi D’Alessio e altri.
“Ho scoperto Soundreef – aveva dichiarato Fedez – perché sono appassionato di startup, in più si occupa di un contenuto che mi riguarda direttamente. Ho scelto di affidarmi a loro per la raccolta dei miei diritti d’autore perché voglio sostenere chi fa della trasparenza e della meritocrazia un valore fondante”.
Non escluso, quindi, che sarà proprio Fedez a essere la prima celebrity italiana a rompere il ghiaccio e investire in giovani imprese.
Nel nostro Paese è piuttosto il mondo imprenditoriale, fatto spesso da quelle grandi famiglie che hanno tradizione e capitali, che mostra segnali di avvicinamento, finalmente, al mondo delle giovani imprese innovative: la Fondazione Marzotto con il suo annuale Premio per startup, il più importante d’Italia; le famiglie Dossi e Colombo (Sapio) che hanno acquisito Pazienti.it; Alberto Fontana, terza generazione di Gruppo Fontana che ha investito in diverse startup con l’idea di modernizzare l’azienda; c’è Angelo Moratti dell’omonima famiglia.
Ma ci sono anche il gruppo Zucchetti (una delle prime e più importanti aziende software italiane) che ha già fatto diverse acquisizioni; ci sono distretti della più antica manifattura italiana che uniscono le forze a sostengno di una startup, come nel caso Lanieri (abiti su misura online) in cui un gruppo di imprenditori dei lanifici biellesi ha fatto da vc e da partner; ci sono società come la Omet di Lecco (che costruisce macchine per la stampa), che ha recentemente investito in una startup che si chiama Ribestech che stamperà in pellicola pannelli fotovoltaici basati su nanoparticelle.
La morale di tutto questo è che le operazioni di fundraising di una startup devono essere condotte guardandosi intorno a 360 gradi, senza fissarsi sui canali più consueti, ma immaginando anche il coinvolgimento di outsider e di partner che arrivano dal mondo industriale, e su questi ultimi possiamo essere fiduciosi: il Primo Osservatorio sui modelli italiani di Open Innovation e di Corporate Venture Capital indica che in Italia ben 5000 aziende hanno partecipazioni in startup, quindi questo è un segnale che la cultura del nostro Paese si sta evolvendo in una direzione positiva.
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