Siamo in compagnia di Fabio Ciotoli, giovane imprenditore tra gli ideatori di Snap, l’applicazione che consente di vendere e acquistare beni tra privati in totale sicurezza.
Ciao Fabio! Puoi descriverci la tua startup?
In Snap ci occupiamo di mobile-commerce ed offriamo ai nostri utenti un servizio per vendere e acquistare oggetti usati tramite smartphone. L’idea alla base di Snap è la semplicità: vogliamo rendere le fasi di vendita, post-vendita ed acquisto estremamente rapide.
Su Snap per vendere un prodotto basta una foto ed una breve descrizione: il pagamento si riceve direttamente in chat e una volta effettuata la vendita non resta che attendere un nostro corriere che arriverà direttamente a casa di chi vende per ritirare l’oggetto e consegnarlo all’acquirente.
Per garantire un elevato grado di sicurezza per chi acquista abbiamo introdotto un sistema di pagamento antitruffa: quando l’acquirente effettua il pagamento noi tratteniamo il denaro e lo rilasciamo al venditore solo quando l’oggetto arriva a destinazione e l’acquirente conferma la conformità alla descrizione.
Il nostro modello di business è basato su una fee che tratteniamo su ogni transazione.
Quando è nata l’idea di Snap?
Prima di dedicarmi full-time a Snap avevo un’altra società in cui mi occupavo dello sviluppo applicazioni mobile. In quel periodo, analizzando i trend di mercato, avevo visto uno spazio interessante sul mobile-commerce e con il mio vecchio socio (Mario De Santis, ora co-founder in Snap) abbiamo iniziato a lavorare su una prima versione di quella che sarebbe diventata da lì a breve Snap.
Nel periodo in cui lavoravo a questo progetto, ho svolto un master al Politecnico di Milano dove ho conosciuto nel giro di pochi mesi altre due persone che hanno avuto un ruolo chiave nel progetto: Andrea Rangone e Vito Lomele. Entrambi imprenditori di grande successo e con molta esperienza alle spalle stavano lavorando separatamente ad un’idea molto simile alla nostra. Abbiamo deciso di unire le forze ed iniziare la nostra avventura.
Dalla prima versione Snap è cambiato moltissimo, e nel corso dei mesi, grazie ad un approccio estremamente lean abbiamo migliorato giorno dopo giorno il prodotto. Il numero di aggiornamenti rilasciati e di AB Test effettuati il primo anno è inimmaginabile.
È stato dunque un approccio che ha comportato molti meno rischi rispetto ad una situazione nata all’improvviso?
Dipende da come definiamo il rischio. È sicuramente un approccio meno rischioso dal punto di vista di prodotto perché ti permette di lavorare in maniera più efficiente ma non certamente dal punto di vista economico. Riprendendo EricRies:“Lean isn’t simply about spending less money”.
Avete fatto affidamento su finanziamenti in fase iniziale?
Nella fase iniziale Andrea e Vito ci hanno supportato economicamente con un primo seed da 200.000€ utilizzato principalmente per pagare gli stipendi degli altri ragazzi e per il marketing. Io e Mario abbiamo investito tutto il nostro tempo, lasciando la vecchia società, trasferendoci a Milano e lavorando senza percepire stipendio per un anno e mezzo.
Ed è stato difficile ottenere questo investimento, nonostante non si partisse da zero?
Onestamente non è stato molto difficile, ma non di certo per l’idea o per il nostro primo prototipo.
Bisogna sfatare il mito dell’idea rivoluzionaria, quello che conta veramente è l’esecuzione.
Quando abbiamo conosciuto i nostri primi investitori non avevamo metriche incredibili per la nostra app, in realtà il prodotto non era nemmeno completo. Ma nella maggior parte dei casi gli investimenti si fanno sulle persone e Mario ed io avevamo numeri molto interessanti: avevamo app con più di 5 milioni di download nel mondo, avevamo scalato le classifiche di ogni nazione (USA compresa) e soprattutto lo avevamo fatto senza spendere 1€ in marketing.
Infine, c’è la questione fortuna: ci siamo trovati nel posto giusto, nel momento giusto e con il prodotto giusto.
Da come parli si intuisce quanta motivazione metti nel tuo lavoro e nelle tue idee. Cosa consiglieresti, oltre alla motivazione, ai ragazzi che vogliono fare startup?
Fare startup è molto faticoso sia dal punto di vista psicologico che fisico, in molti sottovalutano questo aspetto. Se non ami quello che fai non riuscirai mai a lavorare più di 12 ore al giorno, weekend compresi. Se non riesci a dedicarti con questi ritmi al tuo progetto, probabilmente hai già perso in partenza.
Quello che mi sento di consigliare ai ragazzi che vogliono provarci è sicuramente di confrontarsi il più possibile con chi questa avventura l’ha già intrapresa e soprattutto ha già fallito. I fallimenti sono probabilmente la migliore fonte di informazioni per uno startupper.
Talvolta serve solo investire nella propria passione, perché sicuramente l’energia è tantissima dopo che si finisce un qualsiasi percorso di studi. La passione a volte è orientata anche solamente al realizzare qualcosa di bello, che sia l’e-commerce, che sia qualche altro settore per te sarebbe stato indifferente?
Assolutamente sì. La mia passione non è l’e-commerce, ma lavorare ogni giorno per qualcosa che possa migliorare la vita delle persone. Oggi il mio contesto è l’e-commerce, domani potrebbe essere qualcos’altro.
Vuoi parlarmi del tuo background scolastico e delle tue passioni? Quanto hanno contribuito a diventare quello che sei ora?
Io mi sono laureato in Ingegneria Informatica presso “La Sapienza” di Roma. Nella tesi della laurea magistrale stavo lavorando sulla sicurezza delle reti e per esercizio stavo cercando alcune vulnerabilità nella API di Instagram, all’epoca non così diffuso come oggi.
Trovai una falla e la sfruttai creando una piccola web app per dimostrare il bug. La web app che io avevo fatto per gioco però piaceva molto ed in una settimana le visite sul sito diventarono migliaia. Instagram sistemò il bug ma io decisi di trasformare l’idea in una applicazione mobile e monetizzarla. Lanciai Tweegram nel 2012, oggi su Instagram ci sono più di 85 milioni di foto taggate con #tweegram.
Ti è tornato utile solo quello che hai imparato all’università o ti sei dovuto informare maggiormente da altre parti?
Sicuramente è stato molto utile. Ma l’università non potrà mai sostituire la passione e la voglia di migliorarsi giorno dopo giorno.