Va da sè, nell’industria 4.0 anche l’operaio diventa 4.0. La trasformazione del lavoro nell’era della digitalizzazione impone nuove figure professionali che prima non esistevano, e fa evolvere i lavori già esistenti, sia libere professioni , sia il più diffuso lavoro nel mondo (fino a oggi), quello dell’operaio, anche detto ‘colletto blu’. I blu collar con l’arrivo dell’automazione industriale esisteranno ancora? si trasformeranno? Vediamo quali sono le previsioni di esperti e osservatori, chi è e quali sono le competenze richieste all’operaio 4.0.
Dal blu collar al digital blu collar
Nata nel 1940, l’espressione ‘colletti blu’ si riferisce al colore delle tute indossate dagli operai, scelto perché nasconde meglio le macchie dovute al lavoro in fabbrica. Nel tempo, l’espressione colletto blu è diventata simbolo del lavoro manuale degli operai, contrapposto al lavoro intellettuale d’ufficio dei “colletti bianchi”, che possono permettersi di vestire camicie bianche senza rischiare di sporcarsi.
La traslazione nel mondo odierno porta alla definizione di ‘digital blue collar’ attribuibile a tutti quei lavoratori della fabbrica o industria 4.0 che rappresenta il futuro modello della produzione industriale.
La figura del digital blue collar si sta evolvendo in due direzioni:
- operai e manutentori 4.0
- i colletti blu digitali
Operai 4.0
Sono i veri e propri operai 4.0. Nel mondo sviluppato, la maggioranza degli operai è oggi coinvolta in produzioni ad alto contenuto tecnologico, sia di prodotto che di processo, o nella produzione di oggetti che richiedono frequenti modifiche e aggiornamenti. Si tratta di beni deperibili, complessi o ingombranti, la cui produzione difficilmente può essere esternalizzata verso paesi a basso costo: alimenti e prodotti congelati, mobili su misura, apparecchiature elettroniche e medicali ad alto contenuto tecnologico, produzioni di nicchia e di alta qualità di beni intermedi, produzione e distribuzione di energia elettrica, acqua e gas.
Gli operai moderni sono molto più coinvolti in processi di produzione flessibili i cui output si adattano a una grandissima varietà di esigenze dei consumatori e del mercato. Una city-car economica come la nuova Fiat 500 prevede fino a 550 mila varianti tra colori, abbinamenti ed equipaggiamenti, mentre l’acciaieria americana Gary Industries oggi produce più di 700 tipi di acciai speciali, più della metà dei quali non esisteva 10 anni fa. Gli impianti e le tecniche di produzione diventano più complessi grazie alle tecnologie industria 4.0 e i lavori più semplici, quelli da catena di montaggio fordiana, diventano “delegabili” a macchinari e robot il cui funzionamento viene monitorato da un basso numero di operai-supervisori attraverso le informazioni raccolte da sensori connessi.
Analoghe considerazioni valgono anche per la forza lavoro sul campo. I manutentori moderni si occupano di tenere in funzionamento asset intelligenti, parte di vere e proprie smart city o smart factory. Una parte sempre più significativa del loro lavoro sta nella capacità di usare nuove tecnologie per comunicare con i colleghi e gestire asset complessi distribuiti sul territorio. Tecnologie come la realtà aumentata, che richiede alta dimestichezza per essere padroneggiata anche in situazioni di lavoro potenzialmente pericolose, ma guida le attività passo dopo passo minimizzando la possibilità di errore, e anche riducendo l’importanza di competenze tecniche di manutenzione di dettaglio, grazie al supporto visivo e di contenuti interattivi contestualizzati come istruzioni e checklist.
Per loro sono richieste le specifiche competenze del ruolo, ma anche digital soft skills quali: self empowerment, knowlwdg networking, virtual communication, data driven decision making, creative agility.
Digital blue collar
Esiste poi una nuova classe di operai – veri e propri digital blue collar – che non hanno legame con la fabbrica tradizionale e la cui nascita si deve a internet e a piattaforme digitali che abilitano nuove forme di lavoro. Piattaforme come Mechanical Turk di Amazon o Upwork, su cui le persone possono rispondere ad annunci di lavoro fatti da remoto. Nel caso di Mechanical Turk, si tratta di lavori altamente ripetitivi con compensi misurati in termini di centesimi di dollaro. Su Upwork, i lavori offerti possono richiedere competenze da white collar, ma in un contesto di competizione globale. Può quindi accadere che uno sviluppatore web indiano competa con un rumeno o un cinese, in una vera guerra di prezzi.
Parallelamente a ciò, piattaforme come Airbnb, Uber, TaskRabbit, Postmates, Globo, Deliveroo creano nuovi lavori fortemente legati al territorio come l’host (il padrone di casa), l’autista, il personal shopper, il tuttofare, il postino o il corriere in bicicletta. Lavori tipicamente da blue collar ma interamente abilitati dal digitale, e privi delle caratteristiche di sicurezza e tutela dei diritti del lavoratore che nelle società industrializzate sono maturate in decenni di storia sindacale.
Per le imprese dell’industria diventa importante quindi mappare il Digital DNA dei propri operai, per ottenere una mappa dell’attitudine individuale rispetto alle competenze digitali di rilievo per l’impresa, capire quali competenze è possibile sviluppare internamente e quali invece vanno inserite dall’esterno. A seconda dei piani di investimento, della maturità dell’impresa rispetto alla trasformazione digitale, e del settore, il Digital DNA può enfatizzare alcune aree di competenza penalizzandone altre. Alcune delle competenze mappabili nel modello però sono probabilmente importanti per qualsiasi industria.
Per loro sono richieste anche competenze come la customer centricity e l’agile working.
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