Il problem solving è una soft skill che si sente citare sempre più spesso, ma in cosa consiste esattamente? È un talento naturale o può essere appreso?
Il problem solving è una competenza trasversale (in inglese soft skill, in antitesi al termine hard skill che identifica le competenze tecniche) di cui si sente parlare sempre più spesso. Anche nel rapporto The Future of Jobs 2020 è segnalato come una delle competenze chiave per i prossimi anni, soprattutto alla luce delle nuove sfide poste dalla pandemia. Ma in cosa consiste esattamente? È un talento naturale o può essere appreso? Vediamo meglio di cosa si tratta, perché è diventato così importante e quali metodi esistono per sviluppare questa capacità e per saperla applicare.
Problem solving: cos’è e perché è una competenza trasversale importante
Problem solving significa letteralmente ‘risoluzione di problemi’, ovvero la migliore risposta possibile a una determinata situazione critica e solitamente nuova.
I problemi, piccoli e grandi, sono il pane quotidiano nella vita di tutti noi e siamo pertanto tutti abituati a doverli affrontare. Ma non tutti siamo efficaci nello stesso modo nel risolvere situazioni, ci sono persone più reattive, altre più riflessive; persone che sono capaci di aguzzare l’ingegno, e altre che vedono i problemi, ma faticano a razionalizzare una soluzione. Ci sono problemi ricorrenti per i quali automatizziamo la soluzione e problemi più complessi, per la cui soluzione serve un approccio out-of-the-box.
Anche l’ambito lavorativo riserva sempre dei problemi, e lo fa da sempre, ma perché negli ultimi anni è diventata ancora più importante questa competenza definita ‘soft’ che è il problem solving?
La nostra risposta è che oggi il mondo è diventato molto più complesso, in piena trasformazione digitale, in una fase di transizione e piuttosto entropica, e questo si riflette sia nella vita delle persone, sia nella vita delle organizzazioni economiche. In un contesto di questo tipo i problemi sono la regola, perciò le competenze di problem solving sono diventate ancora più importanti, e lo saranno sempre di più: con la trasformazione digitale, l’intelligenza artificiale, la robotica, l’industria 4.0, i lavori che prevedono compiti semplici e ripetitivi saranno i primi in cui le macchine sostituiranno l’uomo. Rimarranno sempre più riservati agli esseri umani quei lavori che richiedono creatività e intuito, caratteristiche difficilmente replicabili da un software.
Purtroppo, con la pandemia il sistema economico e il mondo del lavoro dovranno affrontare difficoltà in più nei prossimi anni e in un contesto estremamente incerto, di cambiamento continuo, la capacità di problem solving è essenziale prima di tutto per ‘riprogrammare’ anche i propri piani. Nel video qui di seguito possiamo scoprire i cambiamenti principiali che ci si attende nel mondo del lavoro nei prossimi 5 anni.
Reskilling e upskilling saranno essenziali per adattare al cambiamenti le persone già inserite nel mondo del lavoro. Per chi ancora ci deve entrare è importante seguire le dinamiche in atto e capire che il ruolo della formazione continua all’interno delle aziende sarà nei prossimi anni più importante che mai e sarà spesso orientata alle hard skill.
Mentre si dà più per scontato nelle assunzioni e talent aquisition che nel CV siano messe in evidenza le soft skill, tra cui quelle di problem solving, che il candidato ha acquisito attraverso il proprio personale percorso ed esperienze.
Strumenti di problem solving
I problemi sono spesso al centro di ciò che molte persone e aziende devono fare ogni giorno: molte società, oltre ad avere i propri problemi interni, aiutano i loro clienti a risolvere i loro problemi. Una parte fondamentale del ruolo di ogni manager è quindi trovare il modo di risolverli.
Prima ancora della risoluzione del problema bisogna però identificarlo e capirne le cause, per fare ciò esistono diversi strumenti tra i quali: Il diagramma a lisca di pesce di Ishakawa, una metodologia per identificare la causa principale vera o più probabile per determinare azioni correttive e preventive, esso ordina le possibili cause in varie categorie che si diramano dal problema originale e può avere più sotto-cause che si diramano da ciascuna categoria identificata; il modello dei 5 Whys (i 5 Perché), si tratta di un metodo che utilizza una serie di domande per approfondire gli strati successivi di un problema, l’idea di base è che ogni volta che ci si chiede “perché”, la risposta diventa la base del prossimo perché sino al momento in cui non si raggiunge una risposta esauriente; il diagramma di Pareto, formato da una serie di barre le cui altezze riflettono la frequenza o l’impatto dei problemi, sul grafico le barre sono disposte in ordine decrescente di altezza da sinistra a destra, ciò significa che le categorie rappresentate dalle barre alte a sinistra sono relativamente più frequenti o più impattanti di quelle a destra.
6 altre soft skill a supporto del problem solving
Le competenze trasversali disegnano le abilità di una persona e, a differenza delle competenze tecniche che posso riguardare singoli argomenti, sono fortemente connesse tra loro. Nel caso della soft skill problem solving esistono 6 competenze trasversali che più delle altre interagiscono con essa e concorrono insieme nello sviluppare la capacità di risolvere i problemi: la consapevolezza, necessaria per acquisire una visione globale della questione in analisi e identificare il problema; la capacità di ascolto attivo, necessaria per individuare il problema sin dalle sue prime forme, anche attraverso “l’ascolto” del non detto, e trovare le soluzioni migliori per risolverlo; la curiosità, che spinge a valutare più possibilità di soluzioni anche inedite; la creativa, che aiuta a non fermarsi davanti al primo scoglio sperimentando forme nuove per dar vita a soluzioni inaspettate; grinta e determinazione, per non abbattersi davanti agli ostacoli e andare avanti verso la soluzione;
Quali sono le 4 fasi del problem solving: il metodo per risolvere i problemi
Molte persone hanno un’attitudine naturale alla soluzione di problemi, ma si tratta comunque di una competenza trasversale che può essere acquisita, grazie anche all’applicazione di un metodo.
Il metodo del problem solving più diffuso prevede quattro fasi o passaggi:
Definire il problema
È una fase cruciale: quello che viene ritenuto il problema evidente, spesso non è il problema reale ma solo un suo sintomo. Analizzare bene una situazione, andare a fondo e individuare la situazione critica originale è l’unico modo per raggiungere una soluzione efficace. Ci sono diverse metodologie per riuscire ad arrivare alla radice del vero problema, come indicato sopra.
Generare alternative
È la fase creativa, quella del design delle soluzioni alle domande poste dal problema. Qui si tratta anche di organizzare le informazioni e individuare delle risorse per realizzare un piano di attuazione. Può essere molto utile utilizzare metodologie di design thinking.
Valutare e selezionare le alternative
Bisogna prendere in considerazione diverse soluzioni alternative e poi selezionare quella che sembra più in linea con le aspettative di successo e di tolleranza del fallimento. In questa fase entra in gioco il ‘decision making’, cioè tutto quel processo cognitivo ed emozionale che permette di raggiungere una scelta finale.
Implementare le soluzioni
Scelta la soluzione e realizzato un piano di attuazione, questo va implementato, cioè portato a esecuzione. E ora che tutto il processo di problem solving trova compiuta espressione. In ambito aziendale questa fase viene spesso gestita dai project manager: è necessario organizzare che ogni parte del piano sia eseguita, monitorare il suo impatto in corso d’opera e valutare il successo finale.
Nel video qui di seguito, un metodo similare in soli 3 step!