Immagina questo. Dopo mesi passati a inviare candidature, finalmente ricevi non una, ma due offerte di lavoro. Un sogno. Il momento che aspettavi. Ma ora? Quale scegliere?
La prima tentazione, quella che quasi tutti avrebbero, è di guardare al numero sul contratto. Più alto è lo stipendio, meglio è, no? Oppure forse è meglio puntare al prestigio della posizione? O ancora al tipo di progetto, alla possibilità di fare esperienza e crescere?
Secondo Marion Campan, Workplace Transformation Enabler e speaker internazionale c’è un altro elemento cruciale da considerare: la cultura aziendale. È da lì che parte tutto. È lì che si gioca la vera partita tra successo e fallimento professionale.
Campan ha portato questa riflessione sul palco del TEDxWanChai, raccontando – con l’energia di chi ha fatto della trasformazione del lavoro la propria missione – quanto sia importante trovare l’ambiente giusto per fiorire, non solo per “resistere”.
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L’importanza (sottovalutata) della cultura aziendale
Campan lo dice chiaro: «Scegliete la vostra prossima azienda in base alla sua cultura, non al solo stipendio o al ruolo. Perché? Perché la cultura determina il modo in cui lavoriamo, comunichiamo, cresciamo. È ciò che fa la differenza tra una carriera soddisfacente e un burnout in piena regola».
E i numeri le danno ragione. Secondo uno studio di MetLife riportato da Fortune sottolinea infatti come solo il 59% della Gen Z sia felice nel proprio workplace, un dato inferiore ai boomer felici che si attestano al 71%. Percentuali che confermano un trend rilevato dall’ultimo Osservatorio HR Innovation Practice del Politecnico di Milano: il 65% degli appartenenti alla Generazione Z ha cambiato lavoro negli ultimi 12 mesi o ha espresso la volontà di farlo nei prossimi 6.
In pratica ci si divide tra chi vuole cambiare azienda e chi ha già smesso emotivamente, anche se continua a timbrare il cartellino. Il fenomeno si chiama “Quiet Quitting”: si lavora il minimo indispensabile per non essere licenziati, ma senza alcuna motivazione. Un disastro, per lavoratori e aziende.
La manager porta l’esempio di una brillante avvocata con grandi ambizioni che sognava un ambiente dinamico, così ha scelto una startup. Ma l’esperienza si è trasformata presto in un incubo: le sue abitudini, metodiche e orientate al dettaglio, cozzavano con la mentalità “move fast and break things” tipica dell’ecosistema startup. Il risultato? Burnout, dubbi esistenziali e perdita di fiducia in sé stessa. Solo dopo essersi trasferita in un ambiente più tradizionale, con valori e ritmi più affini ai suoi, ha ricominciato a brillare. Campan lo sottolinea con forza: «Non c’era niente di sbagliato in lei. Era semplicemente nel posto sbagliato».
L’ambiente di lavoro ideale esiste. Ma bisogna saperlo riconoscere
La grande domanda allora è: come capire, prima ancora di iniziare, se un’azienda è quella giusta per noi? Secondo Marion Campan, ci sono due strumenti potentissimi per farlo: l’osservazione e le domande giuste.
«Durante un processo di selezione, l’azienda sta facendo di tutto per conquistarti. È come un primo appuntamento: si mostra al meglio. Ma se già in questa fase qualcosa ti stona – se le risposte tardano, se la comunicazione è confusa, se i recruiter non sembrano ascoltarti – allora fermati. Rifletti. Perché ciò che vedi ora è solo la punta dell’iceberg».
Un esempio concreto? «Se l’azienda impiega settimane a rispondere alle tue email, probabilmente è lenta e poco dinamica anche nel quotidiano», spiega Campan. Oppure: «Se durante il colloquio solo il capo parla e gli altri tacciono, aspettati una cultura molto gerarchica». Non c’è un “giusto” o uno “sbagliato” in assoluto. Ma devi chiederti: questo è il tipo di ambiente in cui io posso prosperare?
Le tre domande che possono cambiare la carriera
Campan consiglia di usare il colloquio anche per ribaltare la prospettiva: non sei solo tu a essere valutato, anche tu stai valutando loro. Per questo, quando ti chiedono “Hai domande per noi?”, non bisogna mai rispondere “No”.
Ecco le tre domande che possono aiutare a scoprire la verità dietro le apparenze:
- Chi viene promosso in questa azienda?
La risposta rivela i veri valori aziendali. Meritocrazia? Anzianità? Favoritismi? Capire chi “ce la fa” ti dice tutto su cosa viene realmente apprezzato. - Quali sono i vostri valori fondamentali?
Se non li conoscono, o se non sanno fare esempi concreti di come quei valori si manifestano, attenzione: potrebbero essere solo parole vuote scritte sul sito. - Quando è stata l’ultima volta che hai ricevuto un feedback?
La gestione del feedback è uno specchio della cultura interna. In un ambiente sano, il feedback è continuo, onesto, costruttivo. In un ambiente tossico, invece, viene evitato o somministrato solo per “correggere” gli errori.
Campan fa notare che la risposta a queste domande è importante, certo, ma lo è anche come viene data. Un manager che si apre, che risponde con esempi, che coinvolge altri colleghi, mostra trasparenza e coerenza. Se invece ricevi risposte vaghe o evasive, forse è il caso di tenere gli occhi aperti.
Lavorare non è sopravvivere: è trovare il posto in cui fiorire
Alla base di tutto, c’è una verità semplice ma spesso dimenticata: non esiste un ambiente di lavoro perfetto in assoluto, ma esiste quello giusto per te. E trovare quell’ambiente significa evitare frustrazioni, stanchezze croniche, disillusione.
Per questo Campan invita ogni giovane in cerca di lavoro a partire da sé: «Definisci che cosa per te è importante. Com’è il lavoro che sogni? Come deve farti sentire? Come deve essere vissuto, ogni giorno? Solo se sei consapevole delle tue aspettative puoi riconoscere i segnali giusti – o quelli sbagliati – quando ti trovi davanti a un’offerta».