Tra le tante domande che possono essere poste durante un colloquio di lavoro, ce n’è una in apparenza semplice, quasi innocente, che però cela insidie molto più profonde di quanto si creda: “Perché vuoi lavorare qui?”
A una prima lettura, la risposta potrebbe sembrare ovvia. “Perché si sta cercando lavoro”, verrebbe da dire. “Perché l’azienda è leader nel settore.” Oppure, “perché il ruolo è interessante”. Ma nessuna di queste risposte, per quanto comprensibili, riesce davvero a colpire nel segno. Perché quella domanda – apparentemente banale – rappresenta in realtà una delle più importanti cartine di tornasole a disposizione di chi conduce il colloquio per valutare chi ha di fronte.
Il recruiting oggi non è banale, perché tutte le aziende hanno oramai capito che un pilastro del loro benessere e della loro crescita è l’acquisizione di talenti. Il talento non è un superuomo, ma semplicemente una persona ad alto potenziale che per le sue caratteristiche, la sua passione e competenze può portare reale valore all’azienda stessa e anche aspirare a una carriera al suo interno.
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Il vero significato della domanda “perché vuoi lavorare qui”
Per comprendere come rispondere in modo efficace, è necessario decifrare cosa si cerca davvero con quella domanda. “Perché vuoi lavorare qui?” non è una curiosità generica. È una verifica multipla, una domanda-matrioska che racchiude almeno tre quesiti impliciti: “È chiaro chi siamo?”, “Si conosce cosa facciamo e perché lo facciamo?”, e infine, “L’azienda è stata scelta consapevolmente oppure si stanno inviando CV a tappeto?”
Bisogna tenere presente che la mancanza di personalizzazione nelle risposte a domande motivazionali rappresenta una delle principali cause di esclusione dalla short list finale. In altri termini: rispondere in modo vago o generico comporta il rischio di essere percepiti come uno dei tanti, e non come un profilo davvero adatto.
Questo vale ancora di più per chi si affaccia per la prima volta al mondo del lavoro. Se non si dispone ancora di anni di esperienza da mettere sul tavolo, ciò che si può (e si dovrebbe) offrire è consapevolezza, curiosità e preparazione. Ed è proprio in questa domanda che si gioca la possibilità di trasformare la giovane età in un punto di forza: motivazione, voglia di imparare e capacità di guardare oltre la superficie.
Colloquio di lavoro: le risposte che non funzionano (e perché)
È utile partire da ciò che sarebbe meglio evitare. Frasi come “perché serve uno stipendio” o “perché si ha bisogno di esperienza” possono anche essere vere, ma risultano autoreferenziali. Il colloquio non è uno spazio di confessione personale, è una relazione professionale. Parlare solo delle proprie necessità trasmette un messaggio chiaro: non si è realmente interessati all’azienda, ma unicamente a ciò che essa può offrire in termini pratici.
Allo stesso modo, citare frasi vuote come “perché è un’azienda innovativa” o “perché si lavora bene” non basta. Si tratta di formule inflazionate, che chiunque potrebbe ripetere con un semplice copia-e-incolla da Google. E non raccontano nulla né del percorso individuale né delle reali motivazioni.
È importante fare attenzione anche alle risposte eccessivamente generiche: “interessa il settore”, “si è studiato questo all’università”, “si pensa di poter imparare molto”. Per quanto sensate possano sembrare, risultano spesso impersonali se non accompagnate da esempi concreti o riflessioni autentiche.
La chiave: unire il percorso personale con la missione dell’azienda
Una risposta efficace deve rispondere a una logica semplice: far emergere il punto d’incontro tra il proprio percorso (di studio, di interessi, di attitudini) e ciò che l’azienda rappresenta.
Si consideri un esempio concreto. Nel caso in cui ci si stia candidando per una startup che sviluppa soluzioni di Intelligenza Artificiale applicata al settore sanitario, si potrebbe dire: “Durante la tesi magistrale sono state analizzate le potenzialità dell’IA nella diagnosi precoce di malattie croniche. Quando è emerso che l’azienda sta lavorando a un algoritmo predittivo per la prevenzione del diabete, è stato naturale riconoscere un allineamento con i propri interessi. L’idea di contribuire con competenze tecniche e, allo stesso tempo, imparare da un team che condivide una visione etica e concreta dell’innovazione appare particolarmente motivante”.
Si tratta di una risposta articolata? Sì. Ma è personale, specifica, e dimostra che si è svolta un’attenta analisi preliminare. Si sono studiati i progetti dell’azienda, se ne sono compresi i valori, e si è in grado di spiegare perché tutto questo ha un significato rilevante.
In altre parole: saper raccontare il proprio percorso non come una semplice lista di titoli, ma come una narrazione coerente capace di intersecarsi con la traiettoria dell’azienda.
Preparazione: il lavoro inizia prima del colloquio
Per arrivare preparati a rispondere in modo convincente, serve un lavoro a monte. La preparazione non può limitarsi alla lettura della job description. È necessario esplorare l’azienda, capirne la cultura, i progetti, le sfide attuali.
Consultare il sito istituzionale può rappresentare un primo passo, ma non è sufficiente. È ancora più utile leggere interviste ai manager, seguire l’azienda sui social network professionali per comprenderne i valori, oppure cercare articoli che raccontano momenti recenti della sua evoluzione. Se, ad esempio, l’azienda ha lanciato una nuova linea di prodotti, ha stretto una partnership significativa o ha cambiato strategia, si tratta di elementi che possono essere inclusi nella propria risposta per dimostrare aggiornamento e motivazione.
Anche la reputazione dell’azienda, la sua cultura interna, e le recensioni su piattaforme come Glassdoor o Indeed offrono spunti interessanti, soprattutto per chi desidera mostrare attenzione a valori come l’inclusività, la sostenibilità, l’innovazione o la flessibilità.
Essere sinceri, ma anche strategici
Una delle paure più comuni tra i giovani candidati è quella di sembrare “finti” quando si cerca di preparare una risposta ben costruita. Ma non è corretto confondere autenticità con totale spontaneità. Essere autentici significa essere sinceri, ma anche consapevoli di ciò che si comunica.
In un’intervista al Financial Times, Laszlo Bock, ex Head of People di Google, ha dichiarato: “I candidati più convincenti sono quelli che sanno raccontare verità personali con un intento chiaro. Non basta dire cosa si è fatto, bisogna anche dire perché e dove si vuole andare.”
Questo suggerisce che è lecito – e opportuno – essere strategici. È possibile selezionare le esperienze da raccontare, le passioni da mettere in luce, i legami da costruire tra sé e l’azienda. Ma tutto ciò deve nascere da un nucleo autentico: non si tratta di recitare, bensì di raccontare la versione migliore e più coerente di sé stessi.