La disoccupazione in Italia non diminuisce, specialmente tra i giovani. Eppure, sono stati ben 175mila gli annunci di lavoro offerti sul web dalle aziende nell’ultimo triennio, 60mila soltanto quelli del 2016. Qualcosa non quadra. Come emerge da una recente ricerca ciò che non quadra è il disallineamento tra quello che le aziende richiedono e le professionalità disponibili: ogni anno la richiesta di professioni Ict cresce mediamente del 26%, con picchi del 90% per le nuove professioni legate alla trasformazione digitale come i business analyst e i gli specialisti dei Big Data. Nel triennio 2016-2018 si potrebbero creare 85mila nuovi posti di lavoro.
È quanto emerge dalla terza edizione dell’Osservatorio delle Competenze Digitali, condotto da Aica, Assinform, Assintel e Assinter Italia, e promosso da Miur e Agid.
Cresce complessivamente in Italia del 56% la richiesta di nuovi professionisti digitali: specialisti in Cloud, cybersecurity, IoT, service development, service strategy, robotics, cognitive & artificial Intelligence.
Rispetto alle professioni “classiche” dell’Ict, tiene la richiesta di analisti programmatori, in costante crescita (+24% lo scorso anno): ben 80.000 annunci di lavoro nel triennio 2013-2016. Sono 27.000 gli annunci relativi a posizioni di System Analyst (+30% nell’utlimo anno) e 13.000 quelli per il Digital Media Specialist, con un picco del +60% per il Web Developer.
Anche sul fronte dello stipendio, l’Ict paga: nelle aziende del settore, le retribuzioni nel 2016 sono cresciute con picchi del +5,7% per i livelli impiegatizi e del +4,9% per i Dirigenti. Un Analista Programmatore, per citare la figura più diffusa, in media guadagna l’anno 31.357 euro lordi (se impiegato), 48.509 euro se quadro.
Quanto alle stime, secondo l’osservatorio nel triennio 2016-2018 si potrebbero creare 85mila nuovi posti di lavoro che richiedono specializzazione in Ict, a fronte di un’occupazione complessiva che potrebbe salire da qui al 2018 del 3,5% annuo e raggiungere le 624.000 unità. Di questi 85.000 nuovi posti di lavoro creati, fino a circa 28.000 sono riferibili al 2016, come riscontrato nelle web vacancies per le posizioni fino a due anni di esperienza. Per queste posizioni il mercato richiede il 62% di laureati e il 38% di diplomati, ma il nostro sistema formativo propone troppi diplomati (8.400 in eccesso) e troppo pochi laureati in percorsi Ict (deficit di 4.400). La buona notizia è che le immatricolazioni in facoltà dell’area Ict crescono di anno in anno, sono 26.000 nell’attuale anno accademico segnando un +11% rispetto a quello precedente, tuttavia è alto il tasso di abbandono (60%), soprattutto nelle triennali di informatica.
Nei percorsi universitari stanno via via entrando le competenze legate a Big data, data science, cybersecurity, resta trascurato il Cloud. Nelle facoltà non Ict le competenze digitali sono invece trascurate, nessuna formazione in proposito per circa la metà dei 4.362 corsi di laurea esistenti. Stanno in compenso aumentando, seppur lentamente, le collaborazioni fra scuola, università, imprese e associazioni: è decisamente un’area strategica da amplificare, superando i problemi legati alla dispersione del quadro normativo, al coordinamento organizzativo e all’accesso agli incentivi.
Tra i nuovi profili digitali di cui c’è domanda ci sono il Business Analyst, il Project Manager e il Security Analyst.
“Ciò che oggi è determinante è lo Skill Digital Rate – si legge in una nota dell’osservatorio – ovvero il grado di pervasività delle competenze digitali all’interno di una singola professione richiesta dal mercato: secondo l’analisi delle web vacancies nel 2016 nelle professioni Ict queste incidono in media per il 68%, con picchi dell’80% per le nuove figure legate agli ambiti IoT, Mobile, Cloud; mentre nelle altre professioni l’incidenza è crescente, legata sia ai cambiamenti sulle aree di automazione nei processi stimolati di Industria 4.0 (63,6% ) sia nella relazione digitale con il cliente dei settori Servizi e Commercio (54,6%). L’85% delle PA intervistate, invece, hanno bisogno di competenze digitali per far fronte alla digitalizzazione dei servizi a cittadini e imprese, legati ad esempio a Spid, PagoPA, Fascicolo Sanitario Elettronico. Ma è difficile reperirle all’esterno, causa blocco delle assunzioni, o farle evolvere in risorse già esistenti, per la difficoltà nel distoglierle da altre attività core”.
Infine le professioni del futuro: Change Manager, Agile Coach, Technology Innovation Manager, Chief Digital Officer, IT Process & Tools Architect richiederanno un mix più articolato di competenze, per governare i cambiamenti imposti dalle aree Big Data, Cloud, Mobile, Social, IoT e Security. Saranno soprattutto figure che riuniranno un insieme di skill tecnologiche, manageriali e soft skills quali leadership, intelligenza emotiva, pensiero creativo e gestione del cambiamento.
–pubblicato originariamente su CorCom