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Felicità sul lavoro: cosa vuole davvero la Gen Z dalle aziende



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Molti credono che la Gen Z sia fragile e insoddisfatta nel mondo del lavoro. Ma il problema è più profondo: oggi i giovani chiedono aziende autentiche, capaci di ascoltarli e offrire senso, non benefit superficiali

Pubblicato il 11 apr 2025



Felicità sul lavoro: cosa vuole davvero la Gen Z dalle aziende

Sono nato ingegnere, mi sono laureato in psicologia e da una vita mi occupo di percezione. Detto così sembra un elevator pitch, ma per me è stato l’inizio di una profonda trasformazione. Perché quando ho iniziato a studiare la felicità – seriamente, con metodo scientifico, portandola nelle aule universitarie e nelle aziende – ho capito che stavamo sbagliando domanda. Non dovremmo chiederci come si diventa felici al lavoro, ma perché non impegnarci per esserlo.

E se oggi il 59% della Gen Z dichiara di non essere felice nel proprio posto di lavoro, il problema non è la loro presunta fragilità: è più profondamente un sistema che non li ascolta. E spesso, non li merita. La Gen Z è cresciuta in un mondo iperconnesso e instabile, con crisi globali a ogni angolo di calendario. E nonostante – o forse proprio per questo – ha sviluppato un radar emotivo precisissimo. Non cercano benefit, ma senso. Non vogliono il calciobalilla in azienda, ma una leadership che ascolti. Non sopportano l’ipocrisia dell’employer branding patinato e incoerente. Vogliono autenticità.

Come cambia il modo in cui la GenZ concepisce il mondo del lavoro

In università ho condotto un sondaggio: ho chiesto alle ragazze e ai ragazzi che cosa desiderino da un’azienda. I manager, pensando di leggere nella mente della Gen Z, rispondono spesso: “Vogliono salvare le balene nel Mar Baltico.” I ragazzi, invece, più realisticamente, mi hanno risposto: “Vogliamo un’azienda che si prenda cura di noi.”

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Prendersi cura significa dedicare tempo. Tempo per ascoltare, per confrontarsi, per crescere insieme. Tempo di qualità. Tempo autentico. Che oggi è il bene più prezioso.

Consigli e best practice per “vivere bene” il posto di lavoro

Cosa serve, allora, per costruire ambienti lavorativi felici, a prescindere dalla generazione? Riassumo in tre punti i concetti principali del mio ultimo libro Le aziende felici lo fanno meglio. Il budget:

  • Mettere le persone giuste al posto giusto. La felicità è questione di talento ben allocato, non di sorrisi stereotipati.
  • Costruire sicurezza psicologica. Dove c’è paura, non può esserci innovazione.
  • Allenare i leader all’ascolto. La leadership è un atto relazionale, non una posizione gerarchica.

Quali sono i bisogni e aspettative delle nuove generazioni sul lavoro

Dal punto di vista della Gen Z, serve anche una presa di coscienza importante: il concetto di work-life balance è spesso frainteso. È giusto non replicare i modelli del passato, fatti di 15 ore al giorno di lavoro e zero vita privata, ma è altrettanto sbagliato pensare che la vita cominci solo fuori dal lavoro. Noi siamo un unicum inscindibile. Non possiamo essere due persone diverse: una in ufficio e una sul divano. La separazione netta tra vita lavorativa e vita personale rischia di creare una schizofrenia emotiva, che rende sterile la produttività e irraggiungibile la serenità.

Il lavoro non è un male necessario da sopportare per guadagnare soldi e poi “vivere” altrove. È parte della nostra identità. E se non troviamo gratificazione nelle ore che gli dedichiamo – che, ricordiamolo, sono circa la metà del nostro tempo da svegli – non possiamo pretendere di essere felici nell’altra metà. L’idea “avrai il mio corpo ma non la mia anima” non è libertà, è schiavitù. Perché trasforma le otto ore in un dovere. E nei doveri imposti non si annida quasi mai la felicità.

Credo profondamente che la felicità sia una scelta consapevole. E forse, uno dei limiti della Gen Z – o meglio: una sua fragilità ancora in evoluzione – è l’idea che le cose debbano accadere, che qualcuno debba concederle. No. La vita non si aspetta. Si conquista. E va detto con onestà: la vita è semplice, ma non è facile. Semplice e facile sono due parole profondamente diverse.

La vita è semplice, ci sono poche regole: trovare il proprio perché, rispettare i propri valori, costruire relazioni di qualità. Ma è difficile da applicare, perché presuppone fatica, sforzo, dedizione. La vita non regala, ma è felice di esaltare chi ha avuto il coraggio di investire su di sé.

Il tuo spazio nella vita è quello che ti prendi, non quello che ti lasciano.

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