Sempre più le Università sono valutate anche rispetto alla Student Experience. Si tratta di un’espressione che, mutuata dal mondo del Marketing (chi di voi non ha sentito parlare di User Experience?), ricorda che ogni studente universitario è in primis anche un cliente che si auspica di ricevere nel suo percorso di studi la migliore preparazione e un supporto adeguato dell’Ateneo. Un sostegno che si esplica anche nelle interazioni con il personale universitario.
Abbiamo parlato di questo delicato aspetto con Carlo Valentini, Marketing Manager di Zendesk Italia, software che opera nel settore della Customer Experience, che ha redatto un ebook dedicato all’argomento.
Fare i conti con le esigenze degli studenti per migliorare la Student Experience
In pratica, quando si parla di Student Experience bisogna fare i conti con le aspettative di chi ha scelto di iscriversi in un determinato istituto: «Ci troviamo di fronte a una generazione che, purtroppo, ha sperimentato una certa disillusione. Sono abituati a esperienze innovative e moderne in altri ambiti della loro vita, così come a forme di comunicazione coinvolgenti. E quindi, una volta in contatto con un ambiente per sua natura più istituzionale, potrebbero pensare: “Quando ho visto quel video erano molto più fighi, non è quello che mi aspettavo”. È quindi compito delle Università gestire queste aspettative».
In pratica, gli Atenei devono rimanere al passo con i tempi, sia rispetto all’infrastruttura sia rispetto al livello dei servizi. Con la rapida evoluzione della tecnologia, le istituzioni accademiche hanno la possibilità di interagire con gli studenti, i genitori e il personale attraverso una varietà di canali, tra cui social media, chat online, messaggi di testo, e-mail e telefono. Questa flessibilità è fondamentale, perché, come ha sottolineato il Manager, «le università si rivolgono a una generazione sempre più orientata all’innovazione e alle esperienze di alta qualità».
Stile, offerta formativa, servizi: secondo Valentini è qui che si gioca la vera partita quando si parla di Student Experience. «L’autorevolezza e il ranking non sono eterni, bisogna continuare a coltivarli. Come? Con l’interazione continua tra staff, faculty e studenti, per mantenere in qualche modo vivo l’innamoramento che scatta di solito durante gli open day, quando i ragazzi sono pieni di sogni, hanno gli occhi ricolmi di immagini viste sui social, e i racconti degli amici che riecheggiano ancora nella testa.
In più di un’occasione, lavorando con le Università, ho detto, quasi provocatoriamente, che servirebbe un Chief Experience Officer, magari con competenze come quelle che si ritrovano nel mondo delle crociere o dei parchi divertimento, per creare un flusso continuo di esperienza che faccia sentire sempre all’interno di un mondo coeso e coinvolgente. Che poi, a dire il vero, l’immaginario si discosta dalla realtà: tecnicamente, non esiste l’esperienza universitaria che vediamo in televisione o nelle serie di Netflix. Se è vero che il percorso esperienziale comincia dal giorno “uno”, lo è altrettanto il fatto che sì dipende da quanto l’università sa essere comunità, ma anche dalla proattività e dalla voglia di mettersi in gioco del singolo».
Accompagnare con una comunicazione chiara e fruibile
Tornando al giorno “uno” purtroppo nella stragrande maggioranza dei casi il detto “chi ben comincia è a metà dell’opera” non sempre si avvera. Infatti, nella maggior parte degli Atenei i ragazzi i primi giorni non solo hanno problemi ad ambientarsi, ma anche a orientarsi tra plessi e aule identificate da lettere numeri e nomi dei Santi (cosa che succede alla Cattolica di Milano).
«Ecco un buon esempio di cosa fare: fornire indicazioni chiare e complete sin da subito, anche sulla logistica dell’Ateneo, senza dare nulla per scontato. Nel farlo bisogna sempre mettersi nei panni dei ragazzi e pensare di comunicare sugli stessi canali che usano loro. All’inizio capita spesso che gli universitari cerchino informazioni sui gruppi social creati e gestiti dai loro colleghi universitari. E allora la domanda sorge spontanea: esiste un modo per permettere agli istituti di utilizzare ad esempio Facebook, Telegram e Instagram, in maniera efficiente, per supportare gli studenti?».
Universitari, ovvero clienti
Fermo restando che tutti gli Atenei dovrebbero puntare su qualità delle informazioni e dei servizi, la questione è quanto più “centrale” per le prestigiose Università private che devono fare i conti col fatto che scarsa interazione e mancanza di informazioni sono tra i principali fattori di frustrazione e generazione di feedback negativi verso i peer.
«Per i ragazzi l’Università è lo spartiacque tra l’essere ancora adolescenti e il diventare adulti. Ed è la prima volta che si sentono pienamente dei clienti: ecco perché è necessario sapersi prendere cura delle loro necessità. Un buon punto di partenza è capire come e quando usano i servizi che offre l’Università, conoscere costantemente il loro livello di soddisfazione, e raccogliere le loro richieste e feedback».
Tutto questo tenendo presente che in ogni Istituto si contano numerosi uffici diversi dedicati ai vari servizi: «Questa parcellizzazione fa sì che da una parte non sia sempre immediato comprendere a chi rivolgersi e dall’altra che ci siano diverse persone di staff depositarie di informazioni frammentate sugli studenti. È questo l’errore più grande, perché da una parte non si riesce a dare un servizio completo e dall’altro è anche difficile tenere tutto sotto controllo».
Secondo Valentini, «se si vuole preservare la Student Experience un buon punto di partenza è pensare a una sezione di FAQ, che attraverso la semantica sia in grado di dare risposte e suggerimenti immediati e chiari per capire cosa fare e a chi rivolgersi per qualsiasi tipo di attività, secondo un meccanismo self-service. Si tratta di una soluzione semplice da realizzare per l’Istituto e facile da usare per lo studente, perché è uno strumento affine alle logiche di ricerca su Google».
L’evoluzione della relazione: il portale “B in Touch”
Tra gli Atenei che più stanno investendo in questo ambito c’è l’Università Bocconi, che ha scelto Zendesk per semplificare le interazioni tra studenti e segreterie. È nato così il portale “B in Touch” (“B” sta per “Bocconi”) a cui possono accedere tutti i ragazzi per richiedere assistenza in modo agile e veloce, inoltrando richieste e ricevendo risposte dai 40 dipartimenti coinvolti nell’iniziativa, sia in italiano che in inglese.
Grazie alla soluzione, gli uffici sono in grado di gestire circa 600 ticket al giorno: «Ciascun membro di un determinato ufficio ha una visione completa delle interazioni già avvenute con lo studente, ma può tranquillamente intervenire con informazioni aggiuntive, che possono portare ulteriore valore alle risposte fornite. Non solo, una stessa richiesta può essere gestita da diversi uffici contemporaneamente, che saranno in grado di offrire riscontri e soluzioni più pertinenti», ha concluso Valentini.
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