Possono costare complessivamente fino a 100mila euro 5 anni di università. Nel costo pesa sempre di più anche la retta, che in Italia sarebbe aumentata mediamente del 10% secondo l’Osservatorio Talents Venture, società di consulenza specializzata in servizi di orientamento e sviluppo di soluzioni a sostegno dell’istruzione universitaria. Il nostro Paese si distingue in Europa nella black list di quelli in cui è più difficile portare avanti gli studi per motivi economici, un Paese in cui l’Università sta diventando ‘un privilegio’.
L’Italia destina all’università lo 0,89% del proprio PIL, contro l’1,47% della media dei Paesi OCSE.
In Italia, la spesa stanziata dalle famiglie per istruzione universitaria vale solamente lo 1,86% delle spese non essenziali. Per bevande alcoliche e tabacchi, a titolo di esempio, si spende 4 volte in più.
Sono alcuni dei dati dello studio di Talents Venture “Studiare diventa sempre più un privilegio”, che evidenziano come nel nostro Paese gli studi universitari stiano diventando sempre meno accessibili, fatto che ha ovviamente delle importanti ripercussioni a livello economico-sociale e nel mercato del lavoro.
Nell’anno accademico 2017/2018, la retta media di un universitario è passata da € 1.584 a € 1.741, e in particolare negli atenei pubblici (+9%) le tasse sono cresciute più che negli atenei privati (+5%).
Dal punto di vista geografico, al Nord (+4%) e al Centro (+3%) l’incremento dell’investimento economico richiesto agli studenti è stato contenuto, mentre le università del Sud e delle Isole hanno visto aumentare maggiormente le proprie rette (+8%).
Insomma, oltre al danno la beffa si potrebbe dire: in un momento storico in cui le famiglie italiane devono fare i conti con una crisi economica dalla quale sembra difficile uscire e hanno quindi meno disponibilità economica, le università scelgono di rendere più care le rette; e questo soprattutto nel Sud e Isole, dove la stessa crisi è più forte e dove tante indagini indicano che c’è maggiore abbandono dell’istruzione superiore e universitaria.
In Italia inoltre, osserva l’Osservatorio Talents Venture, lo Stato si sta sempre più disimpegnando dall’istruzione universitaria, gli investimenti pubblici si riducono, e ciò comporta che essa grava sempre più sulle famiglie, trasformando l’accesso universitario qualcosa riservata ‘a chi se lo può permettere’, vista anche la scarsità di borse di studio nel nostro Paese (5 anni di Università possono costare complessivamente fino a 100mila euro).
Per le famiglie l’impegno economico per far studiare i figli deve essere visto come un vero e proprio investimento e sono sempre più numerosi coloro che si utilizzano strumenti di finanziamento messi a disposizione dalle banche, come per esempio il prestito d’onore.
Il business delle Università
Visto da un altro punto di vista, quello delle università, la situazione italiana sembra invece essere piuttosto florida. Come riporta il Sole 24 Ore, è appena passato un decreto ministeriale che da il via alla presentazione di candidature al MIUR per l’apertura di nuove università private. Il decreto stabilisce delle regole precise, ma è evidente che è stato fatto per dare risposta ad istanze in tal senso.
Aprire un ateneo privato conviene, lo dimostra il fatto che negli ultimi anni sono quelli in cui iscritti e laureati, italiani e starnieri, sono aumentati costantemente (dati Eurispes): 176mila iscritti e 35mila laureati l’anno registrati nell’anno accademico 2016/17.
Attualmente in Italia si contano 30 università non statali legalmente riconosciute, di cui 11 telematiche, contro le 67 pubbliche.